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martedì 22 dicembre 2009

HADZA PEOPLE (Seconda parte)


Continuando a leggere l’articolo del National Geographic mi incuriosisce un altro episodio interessante occorso al reporter ospite del villaggio degli hasabe. Questi per vincere la ritrosia degli africani, comprensibilissima visto le difficoltà linguistiche e le differenze culturali in gioco, aveva mostrato loro un suo album fotografico con scatti riguardanti la sua vita privata. Era un modo per rompere il ghiaccio e per cercare di trovare degli argomenti comuni su cui iniziare un dialogo. Gli hasabe avevano guardato con interesse le sue foto personali e quando voltando pagina avevano visto la foto del suo gatto, quello che era l’anziano del villaggio, aveva chiesto con assoluta naturalezza: “Che sapore ha?”

La cosa mi ha fatto sorridere perché mi è ritornata in mente, con nitidezza di dettagli, la battuta di caccia che quella mattina di due estati fa, nel pieno bush della Tanzania, facemmo insieme ad un cacciatore hasabe. Eravamo partiti all’alba, faceva un freddo cane. Noi eravamo vestiti con pile e giacche a maniche lunghe; lui, l’hasabe, era praticamente nudo a parte un paio di vecchi pantaloncini sdruciti e un paio di sandali fatti con vecchi copertoni. Era armato di un solo arco rudimentale e di un paio di frecce sbilenche. Quello che mi ricordo è soprattutto la fatica che facemmo per riuscire a stargli dietro. Si muoveva con passo spedito, quasi di corsa, seguendo tracce di animali sul terreno arido e polveroso che vedeva solo lui. La prima preda a cadere vittima della sua abilità di arciere fu una specie di fagiano nero che avevamo seguito ininterrottamente per una buona mezzora e che ebbe la malaugurata idea di posarsi sul basso ramo di un brullo alberello. La freccia fu scagliata da una distanza ravvicinata ma il tiro fu preciso e letale.

L’hasabe non pago della piccola preda, si rimise subito sulle tracce di un'altra preda. Questa volta l’inseguimento durò non meno di un’ora. Il cacciatore correva scrutando il terreno in cerca di tracce, poi quando le trovava si fermava per studiarle e non appena arrivavamo anche noi sfiniti e trafelati ripartiva subito impietoso. Chissà cosa stavamo inseguendo? Sicuramente una preda grossa e magari potenzialmente pericolosa… Capirete la delusione quando vedemmo cadere trafitto da due frecce scagliate in rapida successione un gatto selvatico e neanche tanto grosso!

Noi eravamo delusi ma l’hasabe al contrario sembrava fiero della sua preda e orgoglioso delle sue capacità venatorie. Punti di vista! Noi da bravi turisti ci saremmo aspettati qualcosa di più suggestivo e pittoresco, lui, l’hasabe si era procurato il cibo sufficiente per lui e per il suo villaggio e tanto gli bastava. Tornando verso il villaggio, guardando il povero gatto esanime con il collo fissato alla cintola del cacciatore un altro sentimento si assommava a quel senso di delusione: il terrore che l’hasabe ci invitasse a pranzo!

Il gatto per noi è un animale domestico da compagnia, per gli hasabe è solo cibo: nulla di più. Per questo la domanda “Che sapore ha?” posta dall’hasabe al reporter del National Geographic è più che legittima. Magari il gatto del giornalista era un siamese così diverso da un gatto selvatico da giustificare la supposizione di gusti simili ma diversi.

Ripensando a quei giorni tra gli hasabe, devo dire che fu proprio la caccia la cosa che più mi è rimasta impressa di quell’esperienza nel bush. E ora so con certezza che la cosa non è valsa solo per me. Qualche giorno fa Elena, una ragazza di Milano che era con me in Tanzania insieme a “Faina” il suo compagno (così soprannominato da me per una sordida storia di polli in quel di Arusha) mi ha scritto su Facebook riguardo al loro piccolo figlio di un anno: "Adesso gli stiamo insegnando a procacciarsi del cibo da solo...il gatto dei vicini è molto a rischio!".

Tanti auguri al piccolo hasabe milanese!




1 commento:

Unknown ha detto...

Grazie Pumba! Però non hai svelato il segreto usato dagli hasabe per vedere le tracce per noi assolutamente invisibili!


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Per il logo si ringrazia Lucaft qui ritratto in foto