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giovedì 27 novembre 2008

LA ZETA DI ZORRO ZALESKY


Zalesky. Vi dice niente questo nome? No? Neanche a me diceva niente fino alla settimana scorsa poi però mi è capitato di sentirlo nominare in più di un’occasione in qualche trasmissione giornalistica ma sempre di sfuggita, a mezza voce da parte degli addetti ai lavori. La cosa mi ha incuriosito e mi sono informato (potenza di internet…) e ora vi riferisco quello che ho capito. Vi premetto però che trattandosi di argomenti finanziari non vi posso garantire che tutto quello che leggerete sarà esente da qualche imprecisione ma mi perdonerete, faccio l’ingegnere….

Allora Romain Zalesky (Mr Z da qui in avanti) è un uomo d’affari francese, è nato a Parigi nel 1933, di origine polacca che dopo un passato da dirigente per importanti gruppi francesi si è trasferito in Italia dove acquista quote azionarie e il controllo, in qualità di general manager, della Carlo Tassara che è una holding specializzata nella trasformazione dei metalli. E fino a qui niente di male. Ma poi decide di lanciarsi nella finanza e qui la cosa si fa più interessante ma anche più complicata.

All’inizio le cose gli vanno bene anzi più che bene, visto che grazie a soldi presi in prestito da Banca Intesa, la cui dirigenza è vicina a Mr Z, mette a segno ingenti speculazioni di borsa giocando su titoli di colossi industriali italiani quali Falck, Edison e Montedison. Tali speculazioni lo portano a essere tra i primi 500 uomini più ricchi del mondo e le sue holding con sedi in paesi dal fisco allegro, Lussemburgo e Paesi Bassi ma anche Hong Kong e Bermuda, prosperano.  La fortuna e la facilità di queste operazioni hanno attirato così l’attenzione, non certo disinteressata, di altre banche principalmente italiane. E con l’assistenza economica dei nostri principali istituti di credito (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi Banca e Bpm) ma anche delle estere Bnp Paribas e Royal Bank of Scotland, il nostro Mr Z si è dato a raid spregiudicati in borsa a seguito dei quali si trova in portafoglio una impressionante serie di partecipazioni in importanti società quotate.

Il meccanismo ricorda tanto quello già visto ai tempi della scalata alla Telecom da parte di Tronchetti Provera.: le banche prestano i soldi e i prestiti sono garantiti dal pegno delle azioni detenute. Ora fintanto che le azioni restano su valori elevati va tutto bene ma se il valore invece crolla come è successo in seguito all’attuale recessione economica allora i prestiti non sono più garantiti. E allora le banche chiedono i rientri delle esposizioni finanziarie.

Per dare l’ordine di grandezza della portata del fenomeno basti pensare che il nostro Mr Z è esposto con le banche per circa 6,2 miliardi di euro a fronte di partecipazioni azionarie, che una volta erano di pari importo ma ora con il crollo delle borse non lo sono più. Per capirci 6 miliardi di euro è la cifra che occorrerebbe al governo per detassare la tredicesima ai lavoratori italiani come misura anticrisi e che il governo non può permettersi per mancanza di liquidità.

E a noi che ce ne cale di tutto ciò? Infatti dopo tutto Mr Z opera per conto proprio e dovrebbe essere responsabile del suo operato. Il problema è che nel portafoglio ci sono quote azionarie consistenti del gotha dell’economia nostrana:  Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Generali, Ubi Banca, A2A, Edison, Mittel, Cattolica, Bpm, Mps. E si, avete capito bene,  alcune banche hanno prestato soldi a Mr Z che con quei soldi ha comprato quote azionarie di quelle banche stesse. Ora se Mr Z cominciasse a vendere le azioni per rientrare dei soldi e ripagare anche se solo parzialmente il debito potrebbe provocare effetti devastanti: svaluterebbe, a seguito di vendite massicce, il valore nominale delle azioni e lascerebbe vagare pacchetti consistenti a prezzi di svendita  con il rischio di qualche OPA “ostile”, come le ha definite Berlusconi. Tra l’altro il fronte delle banche creditrici si è diviso: le straniere Bnp Paribas e la Royal Bank of Scotland hanno manifestato l’intenzione di rientrare comunque del loro credito che ammonta complessivamente a 1,6 miliardi di euro e le banche italiane UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi Banca e Bpm titolari di pegno su azioni proprie, per scongiurare il rischio di vendite da parte di Mr Z, lo rifinanzieranno e lo commissioneranno posticipando la vendita in attesa di tempi migliori.

E così quelle stesse banche che in questi giorni magari non vi rinnovano più il fido o non vi scontano più le fatture perché c’è la crisi, prestano 1,6 miliardi di euro a Mr Z senza colpo ferire. E’ l’ennesima vittoria della finanza malata sull’economia reale. Tra l’altro proprio in questi giorni il governo sta parlando di aiutare le banche ricapitalizzandole con il denaro di noi contribuenti. Come contribuente, per quanto piccolo, se le banche facessero quello che dovrebbe essere il loro compito: saper valutare la qualità dei progetti industriali e finanziarli, potrei accettare l’aiuto di Stato alle banche. Ma non posso accettare l’aiuto a queste banche che fanno finanza senza neanche avere l’adeguata competenza per valutare il rischio di credito di gruppi finanziariamente complessi. Di queste banche l’Italia che lavora e produce non ha alcun bisogno e aiutare loro e piuttosto che le imprese in difficoltà è da idioti.

Insomma le banche prestano a Mr Z i soldi per comprare azioni prendendo a garanzia le azioni stesse, chissà poi perché non se le sono comprate direttamente loro le azioni?, quando poi le azioni calano Mr Z va da le banche e dice loro: “Care banche devo vendere le azioni perché le perfide banche straniere rivogliono i soldi!” e le banche italiane: “ No fermo, non vendere che se no ce se comprano, i soldi te li diamo noi, non ti preoccupare, tanto adesso lo Stato ci ricapitalizza”.  E noi paghiamo…

E così come Zorro lasciava la sua Z sul sedere dei pantaloni del sergente Garcia così Zalesky, novello Zorro dei giorni nostri, lascerà la sua iniziale sulle nostre chiappe. D’altronde, se non erro, el zorro in spagnolo significa volpe….

venerdì 21 novembre 2008

FORMAT


La televisione di oggi è completamente permeata dai format televisivi. Sembra oggigiorno che non si possa fare un nuovo programma se prima non se ne compra il format, possibilmente all’estero. E io oggi non voglio sentirmi inferiore alla Endemol! Mi è venuto in mente l’abbozzo di un format per un nuovo possibile programma giornalistico e ve lo voglio descrivere in anteprima.

Questo format è frutto di una esigenza personale. Seguo con una certa assiduità i telegiornali e i programmi cosiddetti di approfondimento giornalistico. Ho delle preferenze, come tutti, ma cerco di seguire quanti più programmi giornalistici possibili per avere un quadro completo della pluralità dei punti di vista e potermi formare un’opinione sui fatti. Vedo il tg de La7 e il tg2, qualche volta il tg3 regionale, cerco di non perdermi neanche una puntata di Report o di Anno Zero, quando capita vedo Ballarò, se tratta un argomento interessante vedo Matrix e anche Exit, molto più raramente Porta a Porta perché spesso tratta di argomenti per me poco interessanti e anche perché non nutro particolare stima per Vespa. Sei poi sono un po’ giù d’umore e ho bisogno di tirarmi su vedo anche il tg4 di fede: spassosissimo!

Nonostante l’ampia varietà di programmi visti spesso però mi capita di spegnere la televisione a fine serata con un forte senso di insoddisfazione. Capita infatti spesso che in queste trasmissioni esponenti di avverse fazioni politiche si scontrino, spesso con veemenza, litigando su dati che per loro natura non dovrebbero essere confutabili. Ognuno ha i suoi dati e nega quelli dell’altro, poi il programma finisce senza che si sia chiarito chi abbia ragione e chi torto. La settimana dopo, nella nuova puntata del programma, il conduttore non fa più menzione del motivo del contendere della volta precedente e si occupa di nuovi argomenti lasciandoci così per sempre nel dubbio. Ora che si abbia opinione diversa sui fatti è pacifico, ci mancherebbe altro. Anche che il taglio che glia autori e il conduttore danno alla trasmissione sia di parte è normale, l’importante e che in televisione venga garantito il pluralismo dei punti di vista, ma questo è un altro discorso che merita un post a parte. Quello che invece trovo sconcertante è che non si faccia chiarezza assoluta su dati che sono per loro natura oggettivi e inopinabili. Vado a memoria: il numero dei procedimenti penali nei confronti di Berlusconi sono quelli riportati da Vespa o quelli riportati da Di Pietro o ancora da Travaglio? Il tesoretto di Padoa Schioppa è mai esistito oppure no? Si dovranno pagare o no le sanzioni economiche che la UE dovrebbe comminarci per la trasmissione abusiva di rete 4? I manifestanti dell’opposizione al Circo Massimo sono stati un milione o solo centomila? E così via si potrebbero fare tanti altri esempi.

Ecco allora che partendo da questa esigenza di verità dovrebbe nascere una nuova trasmissione, senza ospiti in studio che si parlano addosso inutilmente, che analizzando le trasmissioni giornalistiche della settimana precedente estrapolano quei fatti sulla cui natura o entità sono sorte interpretazioni ambigue e discordanti e su quei fatti avvalendosi di esperti del settore fa chiarezza univoca. Siccome il numero dei procedimenti nei confronti di Berlusconi non è uno dei misteri di Fatima, basterebbe interpellare un giurista per sapere chi tra Vespa, Di Pietro  e Travaglio è un cazzaro. Salvo poi scoprire che lo sono tutti e tre. Gli scienziati da immagini satellitari di Marte o di qualche satellite di Giove riescono a scoprire se su quei suoli c’è acqua o magari ghiaccio e noi osservando una foto satellitare di Roma non possiamo contare, magari con l’ausilio di un apposito software di calcolo e di un luminare della NASA, il numero esatto dei manifestanti del Circo Massimo? Sarebbe interessante poi stilare una classifica dei pallonari, magari divisi per appartenenza politica.

Siccome l’appetito vien mangiando, una rubrica di questa nuova trasmissione potrebbe, analizzando scientificamente i vari tg, riportare quei comportamenti tipici di certo giornalismo fazioso. Dare enfasi ad alcune notizie e non riportarne altre, riportare solo un punto di vista su un argomento, manipolare le immagini e le interviste sono tutti esempi di cattivo giornalismo. Il buon giornalismo dovrebbe riportare notizie per quanto possibile oggettive e rispettare un pluralismo di punti di vista L’opinione sulle notizie è invece libera ma sarebbe opportuno tenere divise le notizie dalle opinioni. Passare sotto la lente di ingrandimento ad opera di esperti (giornalisti di chiara fama, esperti di comunicazione, ecc.) i vari telegiornali per evidenziarne i comportamenti giornalistici faziosi e stigmatizzarli, potrebbe essere divertente oltre che utile. Anche in questo caso si potrebbero stilare delle classifiche sulla faziosità o sulla cattiva informazione (mancanza di fonti o incompletezza dell’informazione).

Beh questa è l’idea del format. Certo andrebbe migliorata ma potrebbe funzionare. Spero solo però che l’averla pubblicata su questo blog mi preservi da eventuali plagi. Non che voglia diventare ricco come la Endemol ma hai visto mai?

lunedì 17 novembre 2008

CONGO


Avevo lasciato in sospeso nell’ultimo post la ricerca delle cause del conflitto sanguinoso che sta dilaniando il nord del Congo, in particolare la regione del Kivu. Sicuramente alla base degli scontri ci sono motivi di ordine etnico: infatti gli scontri avvengono tra le truppe ribelli del CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) che sono capeggiate dal generale dissidente Laurent Nkunda, che è un tutsi congolese, e le truppe filo governative dei Pareco Mai-Mai che sono costituite per la maggior parte da hutu.

Apriamo una breve parentesi. Per chi non lo sapesse hutu e tutsi sono due etnie che hanno convissuto pacificamente nell’area che comprende il nord del Congo, il Rwanda e parte dell’Uganda, fintanto che i Belgi, colonizzatori del Congo e del Rwanda, sono intervenuti tragicamente nei loro destini. In Rwanda infatti i Belgi per poter meglio controllare le popolazioni locali hanno applicato in questa parte dell’Africa la tattica latina, antica ma sempre efficace, del divide et impera I tutsi che erano in minoranza sono stati messi a comandare sugli hutu, creando così malcontenti, odi razziali e sensi di rivalsa degli uni nei confronti degli altri. Tutsi e hutu sono popolazioni con caratteristiche morfologiche distinte, distinguibili facilmente anche da noi europei. I primi sono una popolazione di origine bantu (watussi): sono quindi alti, longilinei con il naso sottile a differenza dei secondi che hanno una corporatura più tozza, la faccia larga e il naso largo e schiacciato. Pur essendo popolazioni distinte condividevano gli stessi territori e non erano infrequenti matrimoni misti tra le due etnie. I belgi pensarono bene di separarli in maniera netta, prevedendo l’indicazione dell’etnia di appartenenza sui documenti di riconoscimento e vietando i matrimoni misti; poi misero il gruppo di minoranza al potere. E’ chiaro che il senso di odio e rivalsa degli hutu cresceva sempre più al passare degli anni. Così quando col cadere del colonialismo, i belgi si ritirarono dal Rwanda, gli hutu, che peraltro erano anche in maggioranza, presero il potere e molti tutsi si videro costretti ad espatriare nella vicina Uganda. Da qui però si riorganizzarono anche militarmente e cercano di riprendere il potere in Rwanda. Il clima sempre più teso tra le due etnie in lotta per il predominio dell’una sull’altra ha portato nel 1994 al genocidio perpetrato dagli hutu nei confronti dei tutsi. Nell’arco di una sola giornata infatti nel ’94 centinaia di migliaia di tutsi fu massacrata a colpi di machete. Se avete un ricordo sbiadito di quello che è successo allora vi consiglio di vedere il film “Hotel Rwanda” che potete trovare in dvd. Alla luce di questi antefatti è facile immaginare che i flussi di profughi hutu, rei del genocidio in Rwanda, da quest’ultimo paese al vicino Congo non sia ben vista dalle minoranze tutsi congolese di cui il generale Nkunda ne è l’alfiere.

Ma siamo sicuri che l’odio razziale sia l’unica causa dei conflitti odierni? O magari c’è qualche causa più subdola? A ben vedere il generale Nkunda ha cominciato a creare disordini per sostenere la minoranza tutsi del nord del Congo dall’afflusso di profughi hutu. Ma i tutsi della zona sono bene integrati nella società e nessuno ha interesse ad attaccarli. Allora cosa spinge i ribelli di Nkunda agli scontri e ai saccheggi? A detta di tutti dietro a Nkunda c’è il presidente ruandese Paul Kagame che rifornisce di armi i ribelli. E che interesse ha il Rwanda a fomentare disordini nella zona del Kivu? La risposta sembrerebbe essere il coltan.

Il coltan è una miscela di columbite e tantalite, da cui il nome, che sono due minerali leggermente radioattivi che contengono tantalio. A parte gli addetti ai lavori, nessuno di voi immagino sospetti di avere un po’ di tantalio nelle immediate vicinanze. Infatti tantalio è contenuto nel vostro i-pod e nel vostro telefonino cellulare. I moderni apparecchi elettronici necessitano di tantalio che poi è un conduttore, per poter funzionare con le prestazioni a cui siamo abituati. Il problema del coltan però è che è raro e che si trova concentrato in circoscritte zone del mondo. La sua scarsità congiuntamente alla necessità di approvvigionamento da parte delle industrie elettroniche occidentali hanno fatto sì che il prezzo del coltan ha superato quello dell’oro.

Ora l’80% dell’estrazione mondiale del coltan avviene in Congo. Anche in Rwanda ci sono miniere di coltan ma la produzione è molto limitata. Non starò qui a raccontarvi le storie di sfruttamento, anche minorile, che sta dietro l’estrazione del coltan per cui vi rimando alla puntata del 25/05/2008 di Report . Vi basti sapere che stante la situazione di corruzione generalizzata che pervade la vita pubblica del Congo, solo il 10% del coltan estratto viene dichiarato nelle contabilità ufficiali. Il rimante 90%, spesso pagato col riciclaggio di denaro sporco, viene contrabbandato in Rwanda. Qui il coltan congolese si unisce al poco coltan estratto nel paese e venduto, solo a questo punto in maniera lecita, alle società elettroniche occidentali. Qui nelle moderne banche di Kigali, la capitale del Rwanda, ingenti quantità di denaro, spesso provenienti da banche caraibiche, vanno ad arricchire i mercanti del coltan. Le banche si trovano in Rwanda perché il Rwanda è ormai un paese stabile a differenza del vicino Congo. E chiaramente il Rwanda ha tutto l’interesse che la zona di confine del Kivu rimanga in preda all’instabilità e al disordine: se infatti l’esercito governativo congolese controllasse la zona di confine col Rwanda il contrabbando di coltan sarebbe più difficile se non impossibile. Nkunda con i suoi saccheggi e con i suoi attacchi ai filo governativi garantisce ai contrabbandieri di operare indisturbati con buona pace del governo del Rwanda.

Questi sono i fatti. La prossima volta che comprerete un telefonino magari non comprate proprio l’ultimo modello, non c’è bisogno! Comprate quello appena appena meno performante, va bene lo stesso per telefonare. Risparmierete così qualche decina di euro che potrete devolvere a qualche organizzazione umanitaria che opera in Congo per aiutare quegli orfani o quei profughi che si trovano in questa condizione, certo indirettamente ma anche per colpa nostra. 

martedì 11 novembre 2008

BUNAGANA


Vado a vedere il visto di ingresso sul passaporto. C’è scritto Repubblica Democratica del Congo – Bunagana, la data riportata è quella del 13 agosto 2008. Bunagana è una città al confine tra Congo e Uganda, nel nord Kivu (la regione fertile e ricca di risorse mineraria sulle coste dell’omonimo lago) a circa 60 km a nord di Goma  che ne è la capitale. Quel giorno del 13 agosto scorso, come ho già raccontato su questo blog, siamo andati sotto scorta dell’esercito Congolese a vedere i gorilla di montagna sui monti Virunga entrando nel paese da Bunagana, appunto. Quel giorno, forse il più bello di tutto il viaggio, è trascorso tranquillamente ed in allegria. Non sapevamo allora che di lì a pochi giorni quella zona sarebbe stata testimone di scontri armati tra l’esercito e i ribelli capeggiati dal generale Nikunda. La ripresa dei combattimenti nella zona risale al 28 agosto, solo 15 giorni dopo la nostra visita, e qualche giorno dopo, precisamente il 3 settembre, il confine di Bunagana è stato chiuso. Quel giorno non lo sapevamo e non lo potevamo sapere ma probabilmente solo a pochi chilometri da noi le truppe ribelli si stavano armando e preparando al conflitto.

Siamo stati fortunati, maledettamente fortunati, meno fortunati però sono stati quelle persone e soprattutto quei bambini che abbiamo incontrato quel giorno e che oggi, se non sono morti fanno parte del numero crescente di profughi. La situazione attuale e sotto gli occhi di tutti, migliaia di morti e 250.000 profughi che si vanno ad aggiungere a quelli già presenti nella zona. Si perché quella odierna è una recrudescenza di un conflitto che si protrae da anni, e che si era interrotto per qualche mese di fragile tregua. I numeri di questa guerra sono impressionanti: oltre quattro milioni di morti dal 1998 ad oggi, oltre un milione di profughi (nel nord Kivu un abitante su quattro è in fuga dalla guerra dopo aver perso tutto quello che possedeva), fame ed epidemie sempre più diffuse. La maggior parte dei profughi è rappresentata da bambini e donne spesso colpite da stupri usati come arma di guerra.

Nonostante queste cifre terrificanti, per avere un’idea dell’entità basti pensare che i caduti italiani nella seconda guerra mondiale sono stati “appena” 313.000), nei giornali le notizie al riguardo si trovano in smilzi trafiletti e pure alla televisione i fatti vengono riportati col contagocce. E’ una guerra lontana e che non va ad intaccare direttamente gli interessi economici di noi occidentali. Ma la latitanza e la pressappochezza dell’informazione è sconcertante e sconfortante al tempo stesso. I giornali di questi giorni dedicano pagine e pagine su gli apprezzamenti, riguardo all’abbronzatura naturale, fatti dal nostro folcloristico  primo ministro sul neoeletto presidente degli stati uniti (apprezzamenti che di per se si commentano da soli senza ulteriori approfondimenti) e solo poche righe a quanto avviene in Congo. E soprattutto le informazioni riportate sono incomplete. Si parla dei morti e dei profughi ma non di perché in questa regione si combatte e ci si uccide. Chi di voi sa quali sono le cause di questi combattimenti sanguinosi? Pochi? Nel prossimo post cercherò di fare un po’ di chiarezza al riguardo. Abbiate solo un pò di pazienza.

lunedì 3 novembre 2008

COMPLESSITA' E CAOS


Ogni promessa è debito: l’altra volta ( vedi FORMICAI, IMPERI, CERVELLI) avevo detto che avremmo visto come la teoria della complessità possa spiegare tante delle cose che ci circondano, oggi quindi ci occuperemo proprio di questo. Prima però dobbiamo compiere un altro passetto nella comprensione dei meccanismi che regolano i sistemi complessi. L’altra volta abbiamo definito, anche se a grandi linee, cosa è un sistema complesso. Oggi vediamo cosa accomuna tutti i sistemi complessi indipendentemente dalla loro natura. I sistemi complessi non si prestano ad essere studiati a livello dei singoli individui costituenti. Le relazioni che li legano, come infatti abbiamo già visto, non sono lineari per cui tra input ed output non c’è una correlazione diretta di causa ed effetto e il comportamento di ogni attore che prende parte al sistema è influenzato da quello di tanti altri anche non contigui e gli effetti possono manifestarsi anche a distanze temporali notevoli (quest’ultimo aspetto non è trascurabile, pensate al ritardo con cui il rilascio dei vari tipi di freon nell’atmosfera ne ha provocato il buco dello strato di ozono o al tempo che è passato tra le prime emissioni di CO2 agli albori dell’era industriale e i tragici effetti dell’effetto serra che si cominciano riscontrare solo oggi). Per capirci, non possiamo studiare un formicaio analizzando il comportamento delle singole formiche: si spostano in maniera apparentemente casuale e incoerente. Se ci soffermassimo a vedere la singola formica che trasporta un pezzo di foglia verso il formicaio, la vedremmo muoversi a casaccio, avvicinarsi poi allontanarsi, poi posare il pezzo di foglia che poi viene preso in consegna da un’altra formica, ecc. Ci troveremmo di fronte ad un comportamento che preso singolarmente non ha una sua coerenza, almeno apparentemente. Ma se allargassimo la nostra visuale vedremmo una unica fila di formiche che trasporta pezzettini di foglia verso il formicaio comune. Guardando i sistemi complessi nella loro globalità, ed in particolare il loro evolversi cioè la loro dinamica, si nota che indipendentemente che si parli di colonie di batteri o della storia umana, questi si comportano con delle analogie inaspettate. L’evoluzione avviene per salti, a periodi di equilibrio pressoché stabile, in cui la complessità del sistema rimane costante, seguono periodi di forte instabilità chiamate biforcazioni catastrofiche a seguito delle quali il sistema trova una nuova stabilità ad un livello di complessità generalmente superiore ma che può essere anche inferiore. A cosa si deve tale comportamento evolutivo comune a fenomeni così diversi? La dinamica evolutiva è dominata da quei fenomeni di retroazione (feedback) che avevamo gi à visto l’altra volta. Questi meccanismi di retroazione possono essere negativi o positivi. Il feedback negativo è quello che stabilizza i processi ed ha il sopravvento nei periodi di stabilità. Prendiamo per esempio il semplice termostato del nostro impianto di riscaldamento: all’aumentare della temperatura ambiente il termostato opererà una diminuzione della temperatura dell’acqua che scorre nei termosifoni con conseguente diminuzione della prima variabile che così, a parte oscillazioni dovuti al ritardo del meccanismo di feedback, porta a mantenere costante la temperatura. Accanto ai meccanismi di feedback negativo, convivono meccanismi di feedback positivo. Questi meccanismi a differenza dei primi tendono ad amplificare le grandezze di input del sistema e prendono il sopravvento sui primi nei periodi di instabilità, sono gli attori principali nelle biforcazioni catastrofiche. Ora facciamo prima qualche esempio di feedback positivo e poi faremo alcune considerazioni sulle transizioni catastrofiche dei sistemi complessi. Sono esempi di feedback positivo, l’avvento dei CD sui dischi di vinile: le prime vendite di CD e conseguentemente di lettori CD spinte dall’innovazione tecnologica intrinseca del prodotto ha indotto le case discografiche a ridurre l’offerta di dischi in vinile. Ciò ha indotto sempre più clienti ad abbandonare i vecchi sistemi di riproduzione musicale per passare al CD con aumento delle vendite di quest’ultimo. Analogamente è avvenuto per le videocassette VHS nei confronti delle Betamax, all’inizio le vendite dei due sistemi si equiparavano poi le vendite del primo sistema, per ragioni puramente commerciali, hanno cominciato a crescere innescando così un fenomeno di retroazione positiva che ha portato praticamente alla morte commerciale del betamax. Questo anche se a detta di tutti il VHS era tecnologicamente inferiore al betamax. Quindi attenzione perché non sempre il feedback positivo porta a conseguenze positive! Tornando alle transizioni catastrofiche, queste a discapito del nome non sono generalmente negative di per sé, cioè lo sono a livello dei singoli individui ma non è detto che lo siano a livello del sistema nella sua globalità. Infatti pongono fine ad un sistema di stabilità e ciò consente al sistema di evolversi nella maggior parte dei casi o di involversi in qualche altro caso. Nel periodo di transizione catastrofica i meccanismi amplificatori prendono il sopravvento e il sistema diventa caotico. Diventa cioè sensibilissimo alle variazioni, anche piccole, delle variabili in gioco (avete presente l’effetto farfalla? Il battito delle ali di una farfalla in Brasile che può causare un temporale a New York). Eventi locali perturbatori che in condizioni di stabilità sarebbero state riassorbite dal sistema stesso grazie ai meccanismi di feedback negativo, hanno ora effetto sull’intero sistema con conseguenze inimmaginabili. Hitler, che era un ex caporale dell’esercito e che non era neanche riuscito a laurearsi in architettura e vivacchiava facendo l’imbianchino, ha rappresentato per la storia umana quello che il battito d’ali della farfalla rappresenta per il clima planetario. Se Hitler fosse vissuto in un periodo di stabilità della storia tedesca, le sue farneticazioni sarebbero state riassorbite dal sistema e probabilmente avrebbe continuato a fare l’imbianchino per tutta la vita. Ma purtroppo per la storia è vissuto in un momento di instabilità e le conseguenze di questo sono state, queste si, catastrofiche per l’intera umanità. Passato il periodo della seconda guerra mondiale, che in termini di sistemi complessi ha rappresentato una biforcazione catastrofica, le nazioni coinvolte si sono riorganizzate in sistemi, a più alta complessità, la cui stabilità dura ancora oggi. Per tornare a fatti più nostrani, un esempio di biforcazioni catastrofica è stata rappresentata dal fascismo a cui è seguito un lungo periodo di stabilità garantito da un sistema partitocratrico che ha assorbito tutte le perturbazioni, prima tra tutte quella rappresentata dal terrorismo, ma anche la mafia e i poteri paralleli. Ma sotto l’apparente stabilità hanno cominciato a covare malesseri sempre più diffusi che hanno portato alla nascita della lega Nord e all’inchiesta “mani pulite”. Siamo di fonte ad un’altra biforcazione catastrofica che ha portato alla fine della prima repubblica e dei suoi partiti storici. Siamo nel caos dove ogni mutamento del sistema porta a risultai imprevedibili. E in questo sistema caotico un uomo solo, nano, molto ricco e con i capelli posticci fonda un nuovo partito e prende il potere. Ma il sistema è ancora instabile, con partiti e nuovi personaggi politici che compaio e scompaiono. Non credo che siamo ancora usciti dalla transizione critica anche perché spesso le facce sono rimaste le stesse e i partiti hanno solo cambiato nome.

Tornando alla crisi economica globale, con cui abbiamo cominciato tutto questo discorso, anche in questo caso credo ci troviamo di fronte ad una biforcazione catastrofica. Il capitalismo senza regole, che ha garantito un periodo di relativa stabilità è ormai alle corde e piccole fluttuazioni del mercato provocano ripercussioni imprevedibili sulle economie di tutti i paesi del mondo. Nei periodi di biforcazione catastrofica, come abbiamo visto, i meccanismi di feedback positivo hanno il sopravvento e il tentativo di arginare le derive del sistema rappresenta una lotta contro i mulini a vento destinata a fallire. Contrastare l’evolversi del sistema è una battaglia persa in partenza. Meglio farebbero i governi a prepararsi e ad organizzarsi per il nuovo equilibrio su cui si assesterà il sistema. Ma per poter fare questo occorrono uomini (politici, economisti  e ricercatori scientifici) preparati, capaci di riconoscere i meccanismi tipici dei sistemi complessi e soprattutto capaci di gestirli. Occorrono cioè persone che sappiano affrontare problemi complessi e non lineari, che sappiano vedere oltre l’ovvietà e l’apparenza, che sappiano cioè vedere dietro l’albero di Alice (vedi IMAGE). In questa ottica la scelta del governo italiano di tagliare i fondi all’istruzione e alla formazione, per investire invece nelle banche, in queste banche, è davvero scellerata.

Tutte queste chiacchiere sono scaturite commentando la notizia dell’aumento del prezzo del pane a fronte della diminuzione del costo del grano. Ma non è una notizia da sottovalutare! Non è stato forse il pane o meglio la sua mancanza, l’origine della rivoluzione francese?


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Per il logo si ringrazia Lucaft qui ritratto in foto