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lunedì 29 dicembre 2008

FINE ANNO


Pensate solo per un momento se si potesse come per incanto andare a letto la notte di S. Stefano, felici per il Natale appena trascorso, per i regali fatti e per quelli ricevuti, per quella aria magica che sa di famiglia e di amicizia, di dolci ed è pervasa del chiasso allegro dei bambini e risvegliarsi direttamente la mattina del 2 gennaio. Felici e riposati e pronti ad affrontare il nuovo anno.

No, non sono matto e non mi rivolgo ai bambini: per loro, quelli che vanno da Natale a Capodanno sono giorni di vacanza spensierata a cui non rinuncerebbero per nessun motivo al mondo. Mi rivolgo a voi che siete adulti e che se state leggendo queste fesserie vuol dire che non siete andati in vacanza e che non avete niente altro di meglio da fare.

Saltare questi ultimi giorni dell’anno significa evitarsi in un sol colpo: l’anticipo IRPEF, l’anticipo IVA e il conguaglio dei contributi previdenziali ma anche e non ultimi il festone di fine anno con l’obbligo non scritto di doversi divertire per forza, i botti: fastidiosi, i giochi di carte: noiosi, gli auguri: ipocriti e per i più sfigati i trenini e i famigerati cotillons.

Pensate: ci sarebbero solo innegabili vantaggi. I soldi sottratti all’iniquo e rapace fisco potrebbero essere messi da parte e destinati alle vacanze estive. Con l’ottica di poter affrontare le vacanze senza problemi economici ma con un congruo budget ad esse destinato, l’anno nuovo inizierebbe in discesa con una vitalità e un dinamismo diverso. Non con quella solita aria assonnata che tutti noi abbiamo la mattina del primo dell’anno, perché abbiamo fatto tardissimo la notte prima. Eh si perché la notte dell’ultimo dell’anno bisogna fare tardissimo. E’ un imperativo. Solo se uno fa tardi infatti si diverte. Se uno non fa troppo tardi, che so io, solo l’una di notte: è uno sfigato. Quindi pure se ci si stanno facendo due palle come due zucche all’improbabile veglione cui stiamo partecipando e si pagherebbe di tasca propria, anche profumatamente per tornarsene a casa e andare a dormire, si sopporta la noia che ci assale con stoica ed eroica rassegnazione e si tira comunque tardi come se da questo imperativo morale dipendesse la nostra felicità presente e futura.

Beh sul fatto di saltare a piè pari gli ultimi giorni dell’anno penso che debba rimanere purtroppo solo un vano desiderio e niente più. Però per il resto, quello di brutto che si può evitare cerchiamo di evitarlo: dipende solo da noi!

venerdì 19 dicembre 2008

PALLE



A mio fratello, vediamo se si accorge dei miei post......






Palle

Gli occhi si lasciarono per metà aprire a memorie tremanti

Di alabastrino ed di albero di arancia fragrante:

E' triste il giorno senza Lei.

Triste questo raggrinzito legno

Che divide come un caldo soffio

Il nostro stomaco assuefatto al peggio

E sostiene occhiali di vino di ferite lacere.

Sostiene questa bellezza languida

Dei giorni che sprecò a ricomporre.

Palle senza Lei.

E poi io mi perdo in questo ballo

Di colori e suoni senza tempo

Lei ricorda cristalli rotti

Fra le Sue mani di giunco.

Loro ricordano fogli

Macchiati e bianchi di vino.

Sposo ubriaco che pensa a Lei.


BDB

19 dicembre 2008



giovedì 18 dicembre 2008

MR WOLF


Sono Mr Wolf… Risolvo problemi. Finalmente ho capito in cosa consiste il mio lavoro!

Per chi non lo sapesse faccio l’ingegnere. L’ingegnere vero: libero professionista, uno di quelli che progetta veramente, cose concrete. Cosa? Impianti per la precisione. Quali? Un po’ tutti purché il cliente paghi adeguatamente.

Fino ad oggi quando qualcuno mi chiedeva che mestiere facevo mi trovavo in difficoltà. Per spiegarlo dovevo rispondere alle domande precedenti e non sempre risultava chiaro comunque alla fine, cosa facessi veramente. Ho sempre invidiato quelli che fanno un mestiere che è facile da spiegare, tipo: pompiere, idraulico o falegname. Non c’è bisogno di aggiungere altro! Certo, ingegnere è più facile da spiegare che “network manager” o “system integrator” (vero Arnald?) ma non dà comunque un’immagine immediata e priva di ambiguità.

Poi finalmente questa mattina ho avuta chiara la percezione di quello in cui consiste il mio mestiere. Stavo da un cliente, simpatico ma un po’ fuori di testa, e stavo prospettandogli le possibili implicazioni negative che una sua scelta impiantistica poteva avere, quando mi ha detto, interrompendomi bruscamente: “Tu me li devi risolvere i problemi! Non me li devi creare!”

Ecco, questo io faccio: risolvo problemi. Il cliente mi prospetta un problema, io lo inquadro dal giusto punto di vista normativo, tiro fuori tutte le possibili soluzioni, trovo quella migliore (per il cliente,se il cliente paga abbastanza; per me, se il cliente c’ha il braccino corto) e risolvo il problema. Di tutto quello che c’è dietro alla soluzione, al cliente non interessa niente! Il suo unico interesse è che il problema venga risolto. Sono come Mr Wolf, quello di Pulp Fiction.

 

Ma veniamo alle note dolenti. So che apprezzate i miei post e che li attendete con trepidazione e io sono onorato dell’interesse mostratomi ecc., ecc. … ma non è  ancora il momento di cominciare a farci i pompini a vicenda (come direbbe Mr Wolf). So però che alcuni di voi vanno lamentandosi per la mancanza di nuovi post nelle ultime settimane. Voglio rassicurarvi. Sto facendo un lavoro di indagine, alla Gabanelli per intenderci. E questo: ricercare le fonti, i riscontri, porta via molto tempo. Anche perché spesso le informazioni necessarie non sono di facile reperibilità a meno che non si sia disposti a  pagarle. Ma questo blog si autofinanzia con la pubblicità e gli introiti sono quelli che sono (a proposito vedete quello che potete fare!). Quindi tranquilli tra breve potrete leggere di cose credo veramente interessanti e che vi lasceranno notevoli spunti di riflessione.

Nel frattempo, abbiate pazienza, sto lavorando per voi!

 

PS (da parte di Jules)  Ezechiele 25.17: il cammino dell' uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquita' degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carita' e della buona volonta' conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre; perchè egli è in verita' il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. 

E la mia giustizia calera' sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare ed infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando faro' calare la mia vendetta sopra di te.

lunedì 1 dicembre 2008

NORA


E’ da un po’ di tempo che facendo zapping serale tra le tv locali quelle che, per capirci, si trovano generalmente sintonizzate dopo La7 nei nostri televisori, avvertivo qualcosa di strano ma che non mi sapevo spiegare. Come se nel susseguirsi rapido di quei programmi minori trasmessi da questi canali (televendite, per lo più, ma anche programmi sul calcio, sul cinema o su la cronaca di quartiere) ci fosse qualcosa di strano e di diverso. Solo di recente ho capito quale era l’anomalia che a livello subconscio avevo riscontrato. Nora non c’era più! Eh si perché il 26 giugno 2007 Nora è venuta a mancare.

Nora chi? Vi chiederete legittimamente. Nora Hall. Ancora non vi dice niente questo nome? Beh effettivamente nessuno la conosceva per nome e cognome ma la Nora di cui vi parlo sicuramente la conoscete tutti è la Nora di Chuck e Nora . Vi ricordate quella coppia di predicatori evangelici con forte accento americano che da un salotto rococò e con la scorta di una Bibbia formato famiglia predicavano e pregavano dagli schermi di TBNE? Ma dai che ve li ricordate! Lui con la barba, sempre vestito di bianco; lei vestita come in una telenovela inizio anni ottanta e con i capelli lunghi mossi e voluminosi ed entrambi sempre sorridenti seduti su quelle poltrone dorate e improbabili tanto erano kitch.

Se non ricordate l’originale sicuramente vi ricorderete allora la parodia che nella trasmissione di Serena Dandini: l’”Ottavo nano” ne facevano Corrado Guzzanti e Marina Massironi. Chuck e Nora diventavano Snack e Gnola nella parodia; con Gnola che con sorrisi a trentadue denti cinguettando con forte accento americano faceva da spalla a Snack-Guzzanti. Parlavano di peccato e di “salvation” e di un Dio severo che generalmente si accaniva impietosamente con la povera Mildred.

La vera Nora era in realtà italiana, di Trento per la precisione, ma aveva un accento più americano di quello di Chuck che invece è americano per davvero. La coppia, erano effettivamente marito e moglie, da quando nel lontano 1989 prese le redini della TBNE (Trinity Broadcasting Network Europe), ha condotto con assiduità programmi devozionali dal loro salotto televisivo di Marnate (VA). Ora che Nora non c’è più Chuck prosegue i programmi da solo ma non è più la stessa cosa senza Gnola, scusate volevo dire Nora, che con sorrisi e lodi sottolinea gli aspetti salienti della predicazione di Chuck.

Oltre alla televisione Chuck e Nora hanno messo in piedi anche un sito internet ricco di servizi interessanti. Primo tra tutti il servizio “Lodathon”: pagando comodamente da casa con carta di credito o mediante bonifico bancario si possono inoltrare richieste di preghiera. Non lo sottovalutate perché è un servizio di estremo interesse! Presi dai mille impegni quotidiani: il lavoro, i figli, la palestra, arrivate a fine giornata stremati e non avete tempo per pregare e ciò vi causa sensi di colpa lancinanti che somatizzano in ulcere gastriche o tachicardie? Niente paura. Potete avvalervi del servizio Lodathon e pagando, anche in comode rate mensili, vi avvarrete delle preghiere garantitevi dal network. Senza contare che adesso che si avvicina Natale, il servizio Lodathon vi offre l’opportunità di fare un regalo originale ma oltremodo utile. La zia Adelina ha sempre già tutto e voi non sapete mai cosa regalargli per Natale? Adesso la soluzione è a portata di mano. Potrete regalargli delle preghiere su misura, fatte in diretta televisiva. E se qualcun altro ha avuto la stessa vostra idea, niente paura! Le preghiere sono cumulabili, almeno credo.

Comunque oltre al servizio di preghiera su commissione, il sito vi permette di acquistare dei libri interessanti. Ecco alcuni titoli in catalogo: The Rivolutionary, The Rivolutionary - Part II (il sequel), Ritorno dall’Inferno e Paul the Emissary. Se però preferite i video, niente paura. Potete acquistare l’ottimo “Buongiorno Spirito Santo” o l’imperdibile “Nothing is impossibile when you put your trust in God” entrambi di Benny Hinn. Hinn, ho detto Hinn non Hill!

Ma torniamo a Nora. Trovo imperdonabile il disinteresse dimostrato dall’informazione ufficiale sulla sua dipartita. Credo che se Vespa avesse dedicato una puntata di Porta a Porta in meno all’omicidio di Cogne o a quello di Garlasco, per dedicarne una a Nora Hall avrebbe fatto cosa giusta e meritoria. Attento Bruno, che Dio ti può colpire “fotte, fotte” come faceva con la povera Mildred.

Chiaramente mi riferivo a Vespa, Bruno Vespa!

giovedì 27 novembre 2008

LA ZETA DI ZORRO ZALESKY


Zalesky. Vi dice niente questo nome? No? Neanche a me diceva niente fino alla settimana scorsa poi però mi è capitato di sentirlo nominare in più di un’occasione in qualche trasmissione giornalistica ma sempre di sfuggita, a mezza voce da parte degli addetti ai lavori. La cosa mi ha incuriosito e mi sono informato (potenza di internet…) e ora vi riferisco quello che ho capito. Vi premetto però che trattandosi di argomenti finanziari non vi posso garantire che tutto quello che leggerete sarà esente da qualche imprecisione ma mi perdonerete, faccio l’ingegnere….

Allora Romain Zalesky (Mr Z da qui in avanti) è un uomo d’affari francese, è nato a Parigi nel 1933, di origine polacca che dopo un passato da dirigente per importanti gruppi francesi si è trasferito in Italia dove acquista quote azionarie e il controllo, in qualità di general manager, della Carlo Tassara che è una holding specializzata nella trasformazione dei metalli. E fino a qui niente di male. Ma poi decide di lanciarsi nella finanza e qui la cosa si fa più interessante ma anche più complicata.

All’inizio le cose gli vanno bene anzi più che bene, visto che grazie a soldi presi in prestito da Banca Intesa, la cui dirigenza è vicina a Mr Z, mette a segno ingenti speculazioni di borsa giocando su titoli di colossi industriali italiani quali Falck, Edison e Montedison. Tali speculazioni lo portano a essere tra i primi 500 uomini più ricchi del mondo e le sue holding con sedi in paesi dal fisco allegro, Lussemburgo e Paesi Bassi ma anche Hong Kong e Bermuda, prosperano.  La fortuna e la facilità di queste operazioni hanno attirato così l’attenzione, non certo disinteressata, di altre banche principalmente italiane. E con l’assistenza economica dei nostri principali istituti di credito (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi Banca e Bpm) ma anche delle estere Bnp Paribas e Royal Bank of Scotland, il nostro Mr Z si è dato a raid spregiudicati in borsa a seguito dei quali si trova in portafoglio una impressionante serie di partecipazioni in importanti società quotate.

Il meccanismo ricorda tanto quello già visto ai tempi della scalata alla Telecom da parte di Tronchetti Provera.: le banche prestano i soldi e i prestiti sono garantiti dal pegno delle azioni detenute. Ora fintanto che le azioni restano su valori elevati va tutto bene ma se il valore invece crolla come è successo in seguito all’attuale recessione economica allora i prestiti non sono più garantiti. E allora le banche chiedono i rientri delle esposizioni finanziarie.

Per dare l’ordine di grandezza della portata del fenomeno basti pensare che il nostro Mr Z è esposto con le banche per circa 6,2 miliardi di euro a fronte di partecipazioni azionarie, che una volta erano di pari importo ma ora con il crollo delle borse non lo sono più. Per capirci 6 miliardi di euro è la cifra che occorrerebbe al governo per detassare la tredicesima ai lavoratori italiani come misura anticrisi e che il governo non può permettersi per mancanza di liquidità.

E a noi che ce ne cale di tutto ciò? Infatti dopo tutto Mr Z opera per conto proprio e dovrebbe essere responsabile del suo operato. Il problema è che nel portafoglio ci sono quote azionarie consistenti del gotha dell’economia nostrana:  Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Generali, Ubi Banca, A2A, Edison, Mittel, Cattolica, Bpm, Mps. E si, avete capito bene,  alcune banche hanno prestato soldi a Mr Z che con quei soldi ha comprato quote azionarie di quelle banche stesse. Ora se Mr Z cominciasse a vendere le azioni per rientrare dei soldi e ripagare anche se solo parzialmente il debito potrebbe provocare effetti devastanti: svaluterebbe, a seguito di vendite massicce, il valore nominale delle azioni e lascerebbe vagare pacchetti consistenti a prezzi di svendita  con il rischio di qualche OPA “ostile”, come le ha definite Berlusconi. Tra l’altro il fronte delle banche creditrici si è diviso: le straniere Bnp Paribas e la Royal Bank of Scotland hanno manifestato l’intenzione di rientrare comunque del loro credito che ammonta complessivamente a 1,6 miliardi di euro e le banche italiane UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi Banca e Bpm titolari di pegno su azioni proprie, per scongiurare il rischio di vendite da parte di Mr Z, lo rifinanzieranno e lo commissioneranno posticipando la vendita in attesa di tempi migliori.

E così quelle stesse banche che in questi giorni magari non vi rinnovano più il fido o non vi scontano più le fatture perché c’è la crisi, prestano 1,6 miliardi di euro a Mr Z senza colpo ferire. E’ l’ennesima vittoria della finanza malata sull’economia reale. Tra l’altro proprio in questi giorni il governo sta parlando di aiutare le banche ricapitalizzandole con il denaro di noi contribuenti. Come contribuente, per quanto piccolo, se le banche facessero quello che dovrebbe essere il loro compito: saper valutare la qualità dei progetti industriali e finanziarli, potrei accettare l’aiuto di Stato alle banche. Ma non posso accettare l’aiuto a queste banche che fanno finanza senza neanche avere l’adeguata competenza per valutare il rischio di credito di gruppi finanziariamente complessi. Di queste banche l’Italia che lavora e produce non ha alcun bisogno e aiutare loro e piuttosto che le imprese in difficoltà è da idioti.

Insomma le banche prestano a Mr Z i soldi per comprare azioni prendendo a garanzia le azioni stesse, chissà poi perché non se le sono comprate direttamente loro le azioni?, quando poi le azioni calano Mr Z va da le banche e dice loro: “Care banche devo vendere le azioni perché le perfide banche straniere rivogliono i soldi!” e le banche italiane: “ No fermo, non vendere che se no ce se comprano, i soldi te li diamo noi, non ti preoccupare, tanto adesso lo Stato ci ricapitalizza”.  E noi paghiamo…

E così come Zorro lasciava la sua Z sul sedere dei pantaloni del sergente Garcia così Zalesky, novello Zorro dei giorni nostri, lascerà la sua iniziale sulle nostre chiappe. D’altronde, se non erro, el zorro in spagnolo significa volpe….

venerdì 21 novembre 2008

FORMAT


La televisione di oggi è completamente permeata dai format televisivi. Sembra oggigiorno che non si possa fare un nuovo programma se prima non se ne compra il format, possibilmente all’estero. E io oggi non voglio sentirmi inferiore alla Endemol! Mi è venuto in mente l’abbozzo di un format per un nuovo possibile programma giornalistico e ve lo voglio descrivere in anteprima.

Questo format è frutto di una esigenza personale. Seguo con una certa assiduità i telegiornali e i programmi cosiddetti di approfondimento giornalistico. Ho delle preferenze, come tutti, ma cerco di seguire quanti più programmi giornalistici possibili per avere un quadro completo della pluralità dei punti di vista e potermi formare un’opinione sui fatti. Vedo il tg de La7 e il tg2, qualche volta il tg3 regionale, cerco di non perdermi neanche una puntata di Report o di Anno Zero, quando capita vedo Ballarò, se tratta un argomento interessante vedo Matrix e anche Exit, molto più raramente Porta a Porta perché spesso tratta di argomenti per me poco interessanti e anche perché non nutro particolare stima per Vespa. Sei poi sono un po’ giù d’umore e ho bisogno di tirarmi su vedo anche il tg4 di fede: spassosissimo!

Nonostante l’ampia varietà di programmi visti spesso però mi capita di spegnere la televisione a fine serata con un forte senso di insoddisfazione. Capita infatti spesso che in queste trasmissioni esponenti di avverse fazioni politiche si scontrino, spesso con veemenza, litigando su dati che per loro natura non dovrebbero essere confutabili. Ognuno ha i suoi dati e nega quelli dell’altro, poi il programma finisce senza che si sia chiarito chi abbia ragione e chi torto. La settimana dopo, nella nuova puntata del programma, il conduttore non fa più menzione del motivo del contendere della volta precedente e si occupa di nuovi argomenti lasciandoci così per sempre nel dubbio. Ora che si abbia opinione diversa sui fatti è pacifico, ci mancherebbe altro. Anche che il taglio che glia autori e il conduttore danno alla trasmissione sia di parte è normale, l’importante e che in televisione venga garantito il pluralismo dei punti di vista, ma questo è un altro discorso che merita un post a parte. Quello che invece trovo sconcertante è che non si faccia chiarezza assoluta su dati che sono per loro natura oggettivi e inopinabili. Vado a memoria: il numero dei procedimenti penali nei confronti di Berlusconi sono quelli riportati da Vespa o quelli riportati da Di Pietro o ancora da Travaglio? Il tesoretto di Padoa Schioppa è mai esistito oppure no? Si dovranno pagare o no le sanzioni economiche che la UE dovrebbe comminarci per la trasmissione abusiva di rete 4? I manifestanti dell’opposizione al Circo Massimo sono stati un milione o solo centomila? E così via si potrebbero fare tanti altri esempi.

Ecco allora che partendo da questa esigenza di verità dovrebbe nascere una nuova trasmissione, senza ospiti in studio che si parlano addosso inutilmente, che analizzando le trasmissioni giornalistiche della settimana precedente estrapolano quei fatti sulla cui natura o entità sono sorte interpretazioni ambigue e discordanti e su quei fatti avvalendosi di esperti del settore fa chiarezza univoca. Siccome il numero dei procedimenti nei confronti di Berlusconi non è uno dei misteri di Fatima, basterebbe interpellare un giurista per sapere chi tra Vespa, Di Pietro  e Travaglio è un cazzaro. Salvo poi scoprire che lo sono tutti e tre. Gli scienziati da immagini satellitari di Marte o di qualche satellite di Giove riescono a scoprire se su quei suoli c’è acqua o magari ghiaccio e noi osservando una foto satellitare di Roma non possiamo contare, magari con l’ausilio di un apposito software di calcolo e di un luminare della NASA, il numero esatto dei manifestanti del Circo Massimo? Sarebbe interessante poi stilare una classifica dei pallonari, magari divisi per appartenenza politica.

Siccome l’appetito vien mangiando, una rubrica di questa nuova trasmissione potrebbe, analizzando scientificamente i vari tg, riportare quei comportamenti tipici di certo giornalismo fazioso. Dare enfasi ad alcune notizie e non riportarne altre, riportare solo un punto di vista su un argomento, manipolare le immagini e le interviste sono tutti esempi di cattivo giornalismo. Il buon giornalismo dovrebbe riportare notizie per quanto possibile oggettive e rispettare un pluralismo di punti di vista L’opinione sulle notizie è invece libera ma sarebbe opportuno tenere divise le notizie dalle opinioni. Passare sotto la lente di ingrandimento ad opera di esperti (giornalisti di chiara fama, esperti di comunicazione, ecc.) i vari telegiornali per evidenziarne i comportamenti giornalistici faziosi e stigmatizzarli, potrebbe essere divertente oltre che utile. Anche in questo caso si potrebbero stilare delle classifiche sulla faziosità o sulla cattiva informazione (mancanza di fonti o incompletezza dell’informazione).

Beh questa è l’idea del format. Certo andrebbe migliorata ma potrebbe funzionare. Spero solo però che l’averla pubblicata su questo blog mi preservi da eventuali plagi. Non che voglia diventare ricco come la Endemol ma hai visto mai?

lunedì 17 novembre 2008

CONGO


Avevo lasciato in sospeso nell’ultimo post la ricerca delle cause del conflitto sanguinoso che sta dilaniando il nord del Congo, in particolare la regione del Kivu. Sicuramente alla base degli scontri ci sono motivi di ordine etnico: infatti gli scontri avvengono tra le truppe ribelli del CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) che sono capeggiate dal generale dissidente Laurent Nkunda, che è un tutsi congolese, e le truppe filo governative dei Pareco Mai-Mai che sono costituite per la maggior parte da hutu.

Apriamo una breve parentesi. Per chi non lo sapesse hutu e tutsi sono due etnie che hanno convissuto pacificamente nell’area che comprende il nord del Congo, il Rwanda e parte dell’Uganda, fintanto che i Belgi, colonizzatori del Congo e del Rwanda, sono intervenuti tragicamente nei loro destini. In Rwanda infatti i Belgi per poter meglio controllare le popolazioni locali hanno applicato in questa parte dell’Africa la tattica latina, antica ma sempre efficace, del divide et impera I tutsi che erano in minoranza sono stati messi a comandare sugli hutu, creando così malcontenti, odi razziali e sensi di rivalsa degli uni nei confronti degli altri. Tutsi e hutu sono popolazioni con caratteristiche morfologiche distinte, distinguibili facilmente anche da noi europei. I primi sono una popolazione di origine bantu (watussi): sono quindi alti, longilinei con il naso sottile a differenza dei secondi che hanno una corporatura più tozza, la faccia larga e il naso largo e schiacciato. Pur essendo popolazioni distinte condividevano gli stessi territori e non erano infrequenti matrimoni misti tra le due etnie. I belgi pensarono bene di separarli in maniera netta, prevedendo l’indicazione dell’etnia di appartenenza sui documenti di riconoscimento e vietando i matrimoni misti; poi misero il gruppo di minoranza al potere. E’ chiaro che il senso di odio e rivalsa degli hutu cresceva sempre più al passare degli anni. Così quando col cadere del colonialismo, i belgi si ritirarono dal Rwanda, gli hutu, che peraltro erano anche in maggioranza, presero il potere e molti tutsi si videro costretti ad espatriare nella vicina Uganda. Da qui però si riorganizzarono anche militarmente e cercano di riprendere il potere in Rwanda. Il clima sempre più teso tra le due etnie in lotta per il predominio dell’una sull’altra ha portato nel 1994 al genocidio perpetrato dagli hutu nei confronti dei tutsi. Nell’arco di una sola giornata infatti nel ’94 centinaia di migliaia di tutsi fu massacrata a colpi di machete. Se avete un ricordo sbiadito di quello che è successo allora vi consiglio di vedere il film “Hotel Rwanda” che potete trovare in dvd. Alla luce di questi antefatti è facile immaginare che i flussi di profughi hutu, rei del genocidio in Rwanda, da quest’ultimo paese al vicino Congo non sia ben vista dalle minoranze tutsi congolese di cui il generale Nkunda ne è l’alfiere.

Ma siamo sicuri che l’odio razziale sia l’unica causa dei conflitti odierni? O magari c’è qualche causa più subdola? A ben vedere il generale Nkunda ha cominciato a creare disordini per sostenere la minoranza tutsi del nord del Congo dall’afflusso di profughi hutu. Ma i tutsi della zona sono bene integrati nella società e nessuno ha interesse ad attaccarli. Allora cosa spinge i ribelli di Nkunda agli scontri e ai saccheggi? A detta di tutti dietro a Nkunda c’è il presidente ruandese Paul Kagame che rifornisce di armi i ribelli. E che interesse ha il Rwanda a fomentare disordini nella zona del Kivu? La risposta sembrerebbe essere il coltan.

Il coltan è una miscela di columbite e tantalite, da cui il nome, che sono due minerali leggermente radioattivi che contengono tantalio. A parte gli addetti ai lavori, nessuno di voi immagino sospetti di avere un po’ di tantalio nelle immediate vicinanze. Infatti tantalio è contenuto nel vostro i-pod e nel vostro telefonino cellulare. I moderni apparecchi elettronici necessitano di tantalio che poi è un conduttore, per poter funzionare con le prestazioni a cui siamo abituati. Il problema del coltan però è che è raro e che si trova concentrato in circoscritte zone del mondo. La sua scarsità congiuntamente alla necessità di approvvigionamento da parte delle industrie elettroniche occidentali hanno fatto sì che il prezzo del coltan ha superato quello dell’oro.

Ora l’80% dell’estrazione mondiale del coltan avviene in Congo. Anche in Rwanda ci sono miniere di coltan ma la produzione è molto limitata. Non starò qui a raccontarvi le storie di sfruttamento, anche minorile, che sta dietro l’estrazione del coltan per cui vi rimando alla puntata del 25/05/2008 di Report . Vi basti sapere che stante la situazione di corruzione generalizzata che pervade la vita pubblica del Congo, solo il 10% del coltan estratto viene dichiarato nelle contabilità ufficiali. Il rimante 90%, spesso pagato col riciclaggio di denaro sporco, viene contrabbandato in Rwanda. Qui il coltan congolese si unisce al poco coltan estratto nel paese e venduto, solo a questo punto in maniera lecita, alle società elettroniche occidentali. Qui nelle moderne banche di Kigali, la capitale del Rwanda, ingenti quantità di denaro, spesso provenienti da banche caraibiche, vanno ad arricchire i mercanti del coltan. Le banche si trovano in Rwanda perché il Rwanda è ormai un paese stabile a differenza del vicino Congo. E chiaramente il Rwanda ha tutto l’interesse che la zona di confine del Kivu rimanga in preda all’instabilità e al disordine: se infatti l’esercito governativo congolese controllasse la zona di confine col Rwanda il contrabbando di coltan sarebbe più difficile se non impossibile. Nkunda con i suoi saccheggi e con i suoi attacchi ai filo governativi garantisce ai contrabbandieri di operare indisturbati con buona pace del governo del Rwanda.

Questi sono i fatti. La prossima volta che comprerete un telefonino magari non comprate proprio l’ultimo modello, non c’è bisogno! Comprate quello appena appena meno performante, va bene lo stesso per telefonare. Risparmierete così qualche decina di euro che potrete devolvere a qualche organizzazione umanitaria che opera in Congo per aiutare quegli orfani o quei profughi che si trovano in questa condizione, certo indirettamente ma anche per colpa nostra. 

martedì 11 novembre 2008

BUNAGANA


Vado a vedere il visto di ingresso sul passaporto. C’è scritto Repubblica Democratica del Congo – Bunagana, la data riportata è quella del 13 agosto 2008. Bunagana è una città al confine tra Congo e Uganda, nel nord Kivu (la regione fertile e ricca di risorse mineraria sulle coste dell’omonimo lago) a circa 60 km a nord di Goma  che ne è la capitale. Quel giorno del 13 agosto scorso, come ho già raccontato su questo blog, siamo andati sotto scorta dell’esercito Congolese a vedere i gorilla di montagna sui monti Virunga entrando nel paese da Bunagana, appunto. Quel giorno, forse il più bello di tutto il viaggio, è trascorso tranquillamente ed in allegria. Non sapevamo allora che di lì a pochi giorni quella zona sarebbe stata testimone di scontri armati tra l’esercito e i ribelli capeggiati dal generale Nikunda. La ripresa dei combattimenti nella zona risale al 28 agosto, solo 15 giorni dopo la nostra visita, e qualche giorno dopo, precisamente il 3 settembre, il confine di Bunagana è stato chiuso. Quel giorno non lo sapevamo e non lo potevamo sapere ma probabilmente solo a pochi chilometri da noi le truppe ribelli si stavano armando e preparando al conflitto.

Siamo stati fortunati, maledettamente fortunati, meno fortunati però sono stati quelle persone e soprattutto quei bambini che abbiamo incontrato quel giorno e che oggi, se non sono morti fanno parte del numero crescente di profughi. La situazione attuale e sotto gli occhi di tutti, migliaia di morti e 250.000 profughi che si vanno ad aggiungere a quelli già presenti nella zona. Si perché quella odierna è una recrudescenza di un conflitto che si protrae da anni, e che si era interrotto per qualche mese di fragile tregua. I numeri di questa guerra sono impressionanti: oltre quattro milioni di morti dal 1998 ad oggi, oltre un milione di profughi (nel nord Kivu un abitante su quattro è in fuga dalla guerra dopo aver perso tutto quello che possedeva), fame ed epidemie sempre più diffuse. La maggior parte dei profughi è rappresentata da bambini e donne spesso colpite da stupri usati come arma di guerra.

Nonostante queste cifre terrificanti, per avere un’idea dell’entità basti pensare che i caduti italiani nella seconda guerra mondiale sono stati “appena” 313.000), nei giornali le notizie al riguardo si trovano in smilzi trafiletti e pure alla televisione i fatti vengono riportati col contagocce. E’ una guerra lontana e che non va ad intaccare direttamente gli interessi economici di noi occidentali. Ma la latitanza e la pressappochezza dell’informazione è sconcertante e sconfortante al tempo stesso. I giornali di questi giorni dedicano pagine e pagine su gli apprezzamenti, riguardo all’abbronzatura naturale, fatti dal nostro folcloristico  primo ministro sul neoeletto presidente degli stati uniti (apprezzamenti che di per se si commentano da soli senza ulteriori approfondimenti) e solo poche righe a quanto avviene in Congo. E soprattutto le informazioni riportate sono incomplete. Si parla dei morti e dei profughi ma non di perché in questa regione si combatte e ci si uccide. Chi di voi sa quali sono le cause di questi combattimenti sanguinosi? Pochi? Nel prossimo post cercherò di fare un po’ di chiarezza al riguardo. Abbiate solo un pò di pazienza.

lunedì 3 novembre 2008

COMPLESSITA' E CAOS


Ogni promessa è debito: l’altra volta ( vedi FORMICAI, IMPERI, CERVELLI) avevo detto che avremmo visto come la teoria della complessità possa spiegare tante delle cose che ci circondano, oggi quindi ci occuperemo proprio di questo. Prima però dobbiamo compiere un altro passetto nella comprensione dei meccanismi che regolano i sistemi complessi. L’altra volta abbiamo definito, anche se a grandi linee, cosa è un sistema complesso. Oggi vediamo cosa accomuna tutti i sistemi complessi indipendentemente dalla loro natura. I sistemi complessi non si prestano ad essere studiati a livello dei singoli individui costituenti. Le relazioni che li legano, come infatti abbiamo già visto, non sono lineari per cui tra input ed output non c’è una correlazione diretta di causa ed effetto e il comportamento di ogni attore che prende parte al sistema è influenzato da quello di tanti altri anche non contigui e gli effetti possono manifestarsi anche a distanze temporali notevoli (quest’ultimo aspetto non è trascurabile, pensate al ritardo con cui il rilascio dei vari tipi di freon nell’atmosfera ne ha provocato il buco dello strato di ozono o al tempo che è passato tra le prime emissioni di CO2 agli albori dell’era industriale e i tragici effetti dell’effetto serra che si cominciano riscontrare solo oggi). Per capirci, non possiamo studiare un formicaio analizzando il comportamento delle singole formiche: si spostano in maniera apparentemente casuale e incoerente. Se ci soffermassimo a vedere la singola formica che trasporta un pezzo di foglia verso il formicaio, la vedremmo muoversi a casaccio, avvicinarsi poi allontanarsi, poi posare il pezzo di foglia che poi viene preso in consegna da un’altra formica, ecc. Ci troveremmo di fronte ad un comportamento che preso singolarmente non ha una sua coerenza, almeno apparentemente. Ma se allargassimo la nostra visuale vedremmo una unica fila di formiche che trasporta pezzettini di foglia verso il formicaio comune. Guardando i sistemi complessi nella loro globalità, ed in particolare il loro evolversi cioè la loro dinamica, si nota che indipendentemente che si parli di colonie di batteri o della storia umana, questi si comportano con delle analogie inaspettate. L’evoluzione avviene per salti, a periodi di equilibrio pressoché stabile, in cui la complessità del sistema rimane costante, seguono periodi di forte instabilità chiamate biforcazioni catastrofiche a seguito delle quali il sistema trova una nuova stabilità ad un livello di complessità generalmente superiore ma che può essere anche inferiore. A cosa si deve tale comportamento evolutivo comune a fenomeni così diversi? La dinamica evolutiva è dominata da quei fenomeni di retroazione (feedback) che avevamo gi à visto l’altra volta. Questi meccanismi di retroazione possono essere negativi o positivi. Il feedback negativo è quello che stabilizza i processi ed ha il sopravvento nei periodi di stabilità. Prendiamo per esempio il semplice termostato del nostro impianto di riscaldamento: all’aumentare della temperatura ambiente il termostato opererà una diminuzione della temperatura dell’acqua che scorre nei termosifoni con conseguente diminuzione della prima variabile che così, a parte oscillazioni dovuti al ritardo del meccanismo di feedback, porta a mantenere costante la temperatura. Accanto ai meccanismi di feedback negativo, convivono meccanismi di feedback positivo. Questi meccanismi a differenza dei primi tendono ad amplificare le grandezze di input del sistema e prendono il sopravvento sui primi nei periodi di instabilità, sono gli attori principali nelle biforcazioni catastrofiche. Ora facciamo prima qualche esempio di feedback positivo e poi faremo alcune considerazioni sulle transizioni catastrofiche dei sistemi complessi. Sono esempi di feedback positivo, l’avvento dei CD sui dischi di vinile: le prime vendite di CD e conseguentemente di lettori CD spinte dall’innovazione tecnologica intrinseca del prodotto ha indotto le case discografiche a ridurre l’offerta di dischi in vinile. Ciò ha indotto sempre più clienti ad abbandonare i vecchi sistemi di riproduzione musicale per passare al CD con aumento delle vendite di quest’ultimo. Analogamente è avvenuto per le videocassette VHS nei confronti delle Betamax, all’inizio le vendite dei due sistemi si equiparavano poi le vendite del primo sistema, per ragioni puramente commerciali, hanno cominciato a crescere innescando così un fenomeno di retroazione positiva che ha portato praticamente alla morte commerciale del betamax. Questo anche se a detta di tutti il VHS era tecnologicamente inferiore al betamax. Quindi attenzione perché non sempre il feedback positivo porta a conseguenze positive! Tornando alle transizioni catastrofiche, queste a discapito del nome non sono generalmente negative di per sé, cioè lo sono a livello dei singoli individui ma non è detto che lo siano a livello del sistema nella sua globalità. Infatti pongono fine ad un sistema di stabilità e ciò consente al sistema di evolversi nella maggior parte dei casi o di involversi in qualche altro caso. Nel periodo di transizione catastrofica i meccanismi amplificatori prendono il sopravvento e il sistema diventa caotico. Diventa cioè sensibilissimo alle variazioni, anche piccole, delle variabili in gioco (avete presente l’effetto farfalla? Il battito delle ali di una farfalla in Brasile che può causare un temporale a New York). Eventi locali perturbatori che in condizioni di stabilità sarebbero state riassorbite dal sistema stesso grazie ai meccanismi di feedback negativo, hanno ora effetto sull’intero sistema con conseguenze inimmaginabili. Hitler, che era un ex caporale dell’esercito e che non era neanche riuscito a laurearsi in architettura e vivacchiava facendo l’imbianchino, ha rappresentato per la storia umana quello che il battito d’ali della farfalla rappresenta per il clima planetario. Se Hitler fosse vissuto in un periodo di stabilità della storia tedesca, le sue farneticazioni sarebbero state riassorbite dal sistema e probabilmente avrebbe continuato a fare l’imbianchino per tutta la vita. Ma purtroppo per la storia è vissuto in un momento di instabilità e le conseguenze di questo sono state, queste si, catastrofiche per l’intera umanità. Passato il periodo della seconda guerra mondiale, che in termini di sistemi complessi ha rappresentato una biforcazione catastrofica, le nazioni coinvolte si sono riorganizzate in sistemi, a più alta complessità, la cui stabilità dura ancora oggi. Per tornare a fatti più nostrani, un esempio di biforcazioni catastrofica è stata rappresentata dal fascismo a cui è seguito un lungo periodo di stabilità garantito da un sistema partitocratrico che ha assorbito tutte le perturbazioni, prima tra tutte quella rappresentata dal terrorismo, ma anche la mafia e i poteri paralleli. Ma sotto l’apparente stabilità hanno cominciato a covare malesseri sempre più diffusi che hanno portato alla nascita della lega Nord e all’inchiesta “mani pulite”. Siamo di fonte ad un’altra biforcazione catastrofica che ha portato alla fine della prima repubblica e dei suoi partiti storici. Siamo nel caos dove ogni mutamento del sistema porta a risultai imprevedibili. E in questo sistema caotico un uomo solo, nano, molto ricco e con i capelli posticci fonda un nuovo partito e prende il potere. Ma il sistema è ancora instabile, con partiti e nuovi personaggi politici che compaio e scompaiono. Non credo che siamo ancora usciti dalla transizione critica anche perché spesso le facce sono rimaste le stesse e i partiti hanno solo cambiato nome.

Tornando alla crisi economica globale, con cui abbiamo cominciato tutto questo discorso, anche in questo caso credo ci troviamo di fronte ad una biforcazione catastrofica. Il capitalismo senza regole, che ha garantito un periodo di relativa stabilità è ormai alle corde e piccole fluttuazioni del mercato provocano ripercussioni imprevedibili sulle economie di tutti i paesi del mondo. Nei periodi di biforcazione catastrofica, come abbiamo visto, i meccanismi di feedback positivo hanno il sopravvento e il tentativo di arginare le derive del sistema rappresenta una lotta contro i mulini a vento destinata a fallire. Contrastare l’evolversi del sistema è una battaglia persa in partenza. Meglio farebbero i governi a prepararsi e ad organizzarsi per il nuovo equilibrio su cui si assesterà il sistema. Ma per poter fare questo occorrono uomini (politici, economisti  e ricercatori scientifici) preparati, capaci di riconoscere i meccanismi tipici dei sistemi complessi e soprattutto capaci di gestirli. Occorrono cioè persone che sappiano affrontare problemi complessi e non lineari, che sappiano vedere oltre l’ovvietà e l’apparenza, che sappiano cioè vedere dietro l’albero di Alice (vedi IMAGE). In questa ottica la scelta del governo italiano di tagliare i fondi all’istruzione e alla formazione, per investire invece nelle banche, in queste banche, è davvero scellerata.

Tutte queste chiacchiere sono scaturite commentando la notizia dell’aumento del prezzo del pane a fronte della diminuzione del costo del grano. Ma non è una notizia da sottovalutare! Non è stato forse il pane o meglio la sua mancanza, l’origine della rivoluzione francese?

giovedì 30 ottobre 2008

THE WINNER IS.....


Oggi si sono chiuse le votazioni del grande concorso “Logo dell’anno”. Ringrazio tutti partecipanti che hanno inviato le loro opere di ingegno e anche tutti quanti hanno espresso il loro libero voto attraverso il blog. Devo dire ad onor del vero che la partecipazione è stata al disotto delle aspettative nonostante la forte appetibilità del premio: la mia gratitudine incondizionata  che si palesa, come potete vedere,  nella menzione del nome del vincitore e nella pubblicazione di una sua foto nei credits. Comunque le operazioni di voto si sono svolte in maniera democratica e regolare. Il risultato finale ha visto il trionfo quasi plebiscitario di Lucaft con il suo logo numero 2 nonostante i sondaggi vedevano prevalere, anche se per pochi punti percentuali, il logo di Ragno. Non entro nello specifico del merito artistico e sui contenuti del lavoro grafico di cui l’autore se vorrà potrà commentare e spiegare di persona.

Concludo con una indiscrezione. Lucaft, che nei credits vedete in una foto recente, è uno dei due zorri della foto che trovate a sinistra. Certo all’epoca, tanti e tanti anni fa era un bambino e quindi poco riconoscibile ma magari adesso sarà più facile per voi risalire a chi dei due zorri è bdeb.

lunedì 27 ottobre 2008

FORMICAI, IMPERI, CERVELLI


La notizia che viene data dal TG1 è questa: mentre il prezzo del grano diminuisce, tanto che è diventato quasi non conveniente continuare a coltivarlo perché non si coprono i costi di produzione,  il prezzo di pane e pasta al dettaglio continua ad aumentare. Punto, nient’altro. La notizia viene data così concisa ed asciutta senza spiegazioni o approfondimenti come se fosse la cosa più normale del mondo e non ci sia niente da meravigliarsi. A me così non sembra e mi documento. Nell’ultimo anno il prezzo del grano si è dimezzato mentre il prezzo di pane e pasta è aumentato del 46% circa. Ora il pane è fatto con farina di grano, acqua, qualche volta il sale e il lievito; la pasta neanche con quest’ultimo. Sarebbe quindi logico e aspettarsi che se praticamente l’unico ingrediente con cui sono fatti pane e pasta diminuisce di costo, diminuisca, anche se in percentuale minore, il costo di questi ultimi. Ai tempi dei miei nonni, ma anche più recentemente dei miei genitori, questo legame diretto e lineare ci sarebbe sicuramente stato ma l’economia di oggi è diventata molto più complessa e comportamenti così inaspettati ne sono la conseguenza. Infatti la mancanza di una relazione lineare tra prezzo della materia prima e del prodotto finito è la prova che il sistema economico è un sistema complesso le cui regole non sono facili da prevedere. A questo punto vi consiglio un libro sui sistemi complessi: “Formicai, imperi, cervelli” di Alberto Gandolfi edito da Bollati Boringhieri edizioni Casagrande. Io l’ho letto qualche anno fa ed è stata una lettura illuminante. Acquisendo infatti le nozioni di base sulla teoria della complessità in esso contenute si possono riconoscere i comportamenti tipici dei sistemi complessi che sono ovunque: dal clima alla storia dell’uomo, dal corpo umano all’economia globale, dal singolo batterio alla società di cui facciamo parte. Saper riconoscere questi comportamenti tipici di tutti i sistemi complessi, indipendentemente dalla loro natura, permette di vedere questi fenomeni da un’ottica più ampia. Si perdono magari di vista le fluttuazioni locali del sistema ma si ha una visione d’insieme che permette di vedere l’andamento del sistema nella sua globalità. Provo a spiegare meglio, anche se rinnovo l’invito a leggervi il libro (non spaventatevi, non sono richieste cognizioni scientifiche particolari, in tutto il libro è presente una sola formula, ed è ricco di esempi su sistemi complessi naturali o frutto dell’ingegno umano cosicché ognuno potrà trovare quello con cui ha più familiarità e soprattutto come divulgatore l’autore è molto più bravo di me).

Innanzitutto vediamo cosa è un sistema complesso. Partiamo da una sua semplice definizione che dice che: un sistema complesso è un sistema aperto formato da una moltitudine di elementi che interagiscono tra di loro in modo non lineare e che costituiscono un’identità unica organizzata capace di evolversi e adattarsi all’ambiente. Spiegato in questi termini il concetto sembra astruso ma andiamo per gradi. Il fatto che un sistema è aperto significa che il sistema ha degli input dall’esterno come per esempio lo è l’energia solare per l’ecosistema terrestre. Sul resto della definizione basta un esempio per capire: un termitaio è un sistema complesso perché è costituito da un insieme di termiti che hanno interazioni tra di loro (si scambiano cioè informazioni, cibo, ecc.) e pur mantenendo ogni termite la sua individualità il termitaio può essere visto come un’identità a se stante, organizzata (perché le singole termiti sono organizzate secondo mansioni specifiche) e dinamica (il termitaio cresce e si modifica in continuazione). Ma quello che più caratterizza la complessità di un sistema è la rete di relazioni che si  instaurano tra gli individui costituenti il sistema e la sua non linearità, di cui abbiamo già detto, e che in altri termini significa che non c’è proporzionalità tra input ed output del sistema. Il fatto fondamentale è che ogni individuo costituente un sistema ha relazioni con un certo numero di altri individui. Queste relazioni possono generare degli input o degli output cioè ogni individuo può ricevere “informazioni” da alcuni individui con cui ha relazioni o cederne. La cosa interessante e che un individuo può ricevere come input informazioni da individui a cui lui stesso a sua volta ha ceduto informazioni, attraverso meccanismi di retroazione (feedback in inglese). Si tratta in genere infatti di sistemi autoreferenziali dove cioè ogni elemento del sistema dipende dagli altri e viceversa rendendo così il comportamento del sistema imprevedibile anche conoscendo in un dato istante tutti gli input che il sistema riceve, perché questi si perdono in una palude di intrecci casuali, sovrapponendosi, annullandosi, rafforzandosi e modificandosi. E così l’input perde la correlazione diretta di causa ed effetto con l’output.

Per tornare alla notizia iniziale che ha scaturito tutto questo sproloquio, il costo del pane ha perso una correlazione diretta con il prezzo del grano perché il sistema economico è un sistema complesso in cui il prezzo all’ingrosso del grano è influenzato dal valore di qualche prodotto finanziario derivato di cui il grano è il sottostante (vedi:  PDF prodotti finaziari derivati), dal prezzo del petrolio che incide sui costi di trasporto e sulla bolletta del forno che cuoce il pane e dal valore di borsa delle azioni della grossa distribuzioni che per rifarsi dei tracolli subiti di recente ha bisogno di fare cassa. E il contadino che il grano lo coltiva con tanta fatica? Temo che se lo prenda nel culo attraverso un tipico meccanismo di retroazione. Siamo o no di fronte ad un sistema complesso?

Ora che l’ho rispolverata mi rendo conto che la teoria dei sistemi complessi possa spiegare un po’ delle cose strane che stanno avvenendo in questo ultimo periodo ma magari ve ne parlo la prossima volta. Soprattutto dovremo cercare di capire se fenomeni come quello del prezzo del pane seppure spiegabili con la teoria della complessità debbano essere visti come ineluttabili o invece modificabili operando semplificazioni opportune del sistema.

martedì 21 ottobre 2008

IMAGINE


E’ sabato. E’ sera. In attesa che si faccia l’ora di uscire mi attardo a guardare la televisione. La seguo distrattamente, in realtà sto pensando a quale potrebbe essere l’argomento del prossimo post. Ma non mi viene in mente niente di particolarmente interessante. Eh si, tenere un blog è un passatempo impegnativo! Nel frattempo Fabio Fazio in TV intervista a “Che tempo che fa” l’inossidabile Gianni Morandi. Io con Gianni Morandi ho un feeling particolare. Mia mamma mi ha sempre raccontato che a due anni di età non c’era verso di addormentarmi per il sonnellino pomeridiano se non col farmi ascoltare la sua canzone “Bella Belinda” riprodotta dal mangiadischi. Potrei raccontare di questo ma dubito che la cosa possa interessare qualcuno. Però mi sovviene l’immagine di Alice, una bimba di cinque anni figlia di miei amici, che in piedi sulla sedia guarda i video in bianco e nero di Gianni Morandi su Youtube nel portatile dei genitori. Ecco magari di questo potrei parlare: la cosa offre spunti interessanti. Ma si è fatta l’ora di uscire e nel prendere il cellulare dal mobile vicino all’ingresso di casa lo sguardo mi cade sul disegno che Alice ha fatto per me qualche mese fa e che ho appeso sopra il mobile. Il disegno è quello riportato qui a fianco e anche su questo potrei dire cose sicuramente interessanti. Si penso che parlerò di queste cose che vedono Alice come involontario filo conduttore. Poi però esco e il giorno seguente la cosa mi è passata completamente di mente. Ma la domenica mattina mentre sto leggendo un libro mi arrivano le parole della canzone “Verranno a chiederti del nostro amore” di Fabrizio De Andrè e tra queste la parola Alice  “…andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori …”. Allora mi ritornano in mente i pensieri del giorno prima e mi accingo a scrivere ciò che adesso state leggendo.

Il fatto che una bimba di cinque anni conosca le canzoni di Gianni Morandi perché ne vede i video su Youtube è di per se una cosa straordinaria che dimostra tutte le potenzialità che possiede uno strumento come Youtube. Certo la passione Alice l’ha mutuata dalla mamma ma rimane comunque il fatto che se non fosse stato per internet probabilmente Ali non avrebbe avuto modo di conoscere “Non son degno di te” piuttosto che “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”. Questo perché la mamma non ha conservato i dischi di Morandi o se anche l’avesse fatto li avrebbe in vinile e quindi non facilmente riproducibili. Invece con Youtube Alice può ascoltarli quando vuole, mamma permettendo, ma anche vederne i video: ricordate i vecchi film in bianco e nero di Gianni Morandi con la divisa da militare che tentava di conquistare la bella di turno? E’ questa la vera rivoluzione della TV su internet: poter vedere gratuitamente quello che si desidera e soprattutto quando si vuole. Questo atteggiamento attivo da parte dello spettatore, questa libertà di scelta, è una cosa che ha del rivoluzionario se si pensa all’atteggiamento completamente passivo che ha lo spettatore tradizionale di fronte alla vecchia televisione. Laddove i palinsesti sono stabiliti rispettando le sole logiche di mercato, per cui in prima serata è ormai quasi impossibile assistere a trasmissioni di un qualche interesse, con rare eccezioni per la verità, qui, su internet cioè, si ha la libertà di scegliere cosa vedere senza restrizioni e senza limiti legati all’audience. Tra l’altro Youtube contiene una certa percentuale di video autoprodotti dagli utenti stessi così che su internet trovano spazio quelle voci che sulla televisione non ne troverebbero alcuno. Si tratta di una rivoluzione che parte dal basso e che secondo me eroderà ascolti sempre maggiori alla televisione tradizionale.

Ma veniamo al disegno. Cosa c’è raffigurato secondo voi? Beh, non vi viene niente in mente? Allora ve lo dico io, così come me l’ha spiegato Alice. C’è un albero sui cui rami ci sono una scimmietta (quella a destra), un leopardo “a ciondolo” (quello appeso a sinistra riconoscibile perché punticchiato) e quattro cicogne che volano nel cielo. A parte la bellissima definizione di “a ciondolo” riferita al leopardo e che credo volesse dire che il leopardo era appeso al ramo come un ciondolo in una collana per l’appunto, mi saltò all’occhio un’evidente incongruenza. E così, forte delle mie conoscenze matematiche superiori, dissi ad Alice: “sono tre le cicogne Alice, non quattro”, pensando legittimamente che una bimba che al tempo aveva quattro anni e mezzo potesse aver avuto difficoltà nel contare. Ma lei mi corresse a sua volta dicendomi con una sicurezza disarmante: “No, le cicogne sono quattro: una è nascosta dietro l’albero”. Come se fosse la cosa più ovvia del mondo.Al che non seppi cosa rispondere sentendomi il più idiota tra gli idioti. Inconsciamente Alice mi aveva dato una grande lezione. Non bisogna limitarsi alle apparenze, le cose possono essere diverse da come appaiono. Niente è scontato nella vita ma c’è sempre una soluzione alternativa. L’immaginazione può permetterci di vedere cose che stanno oltre la realtà. Non sempre la risposta più ovvia e scontata è quella giusta. Tutte cose queste, che gli artisti, i bambini così come gli scienziati hanno bene a mente ma che noi comuni mortali spesso abbiamo dimenticato.

Tra l’altro io in Africa ci sono stato e ho visto i leopardi sulle acacie ma mai “a ciondolo” e soprattutto non ho mai visto sullo stesso albero scimmie e leopardi, in genere i secondi dissuadono le prime da certe promiscuità. Però magari Alice ha ragione! Credo che dovrò tornare in Africa per controllare meglio di persona.

Jambo sana.

mercoledì 15 ottobre 2008

YOGA - F.A.Q.


Come potete facilmente evincere dall’immagine a lato, anche oggi mi occuperò di yoga. Prima che me lo chiediate, vi anticipo: “no”, non sono io quello della foto. E ancora: no, non la so fare quella posizione e temo che non la saprò mai fare. Contenti? La foto mi servirà per spiegarvi alcune cose sullo yoga. Ma andiamo per ordine. Forse sarebbe stato più semplice spiegare cosa lo yoga “non è” piuttosto che impelagarsi nel tentativo di spiegare in cosa consista lo yoga, come ho tentato di fare la volta scorsa. Effettivamente rileggendo quanto scritto la scorsa settimana mi accorgo che la descrizione fatta appare purtroppo nebulosa e piuttosto lacunosa. Nell’invitarvi ancora una volta quindi a cominciare a praticare lo yoga: valgono infatti di più quindici minuti di pratica che mille spiegazioni, tenterò di riuscire nell’ardua impresa rispondendo alle domande che frequentemente mi vengono poste al riguardo. Le FAQ (acronimo inglese per frequently asked questions), cioè le domande più frequentemente poste su un argomento, sono un metodo molto utilizzato in internet per cercare di dare spiegazioni semplici ad argomenti anche molto complicati. Invece che tentare di dare una spiegazione esaustiva di un argomento si danno le risposte alle domande pratiche che spesso incorrono. Non è un sistema forse elegante di affrontare intenti divulgativi ma sicuramente efficace. Veniamo quindi all’argomento di questo post e del precedente.

Lo yoga serve a rilassarsi? In generale no! Tutt’altro! Lo yoga infatti serve a liberare e a far scorrere l’”energia” del corpo. In effetti dopo le lezioni di yoga spesso ci si sente piacevolmente “energizzati”. La spiegazione orientale vi dirà che ciò succede perché si sono attivati dei percorsi energetici interni al corpo o stimolati i chackra (i centri di energia). Più probabilmente, con una spiegazione più occidentale anche se meno elevata, ciò succede invece perché si sono stimolate attraverso particolari asana certe parti del corpo, ad esempio le ghiandole surrenali, con conseguente produzione di endorfine. Va anche detto, ad onor del vero, che sono tipiche dello yoga alcune tecniche di rilassamento, poi riprese dal moderno training autogeno. Ma questo rilassamento non è fine a se stesso ma finalizzato alla meditazione.

Nello yoga si suda? Certo che si! Se non ci credete guardate la foto! Lo yoga non è ginnastica ma va detto che le asana che chi pratica lo yoga assume sono molte faticose in particolare per i principianti che sono molto legati, fisicamente parlando. Prendo spunto dalla foto per chiarire un paio di cose. Per poter fare una posizione del genere occorre elasticità, forza ed equilibrio. L’elasticità del corpo è una conseguenza non una finalità. Lo yoga non è infatti stretching anche se alcuni esercizi di stretching derivano dallo yoga. Le posizioni sono statiche e vanno mantenute per tempi che per i più esperti possono essere anche molto lunghi. Nell’asana ci si concentra sulla respirazione che serve anche a perfezionare la posizione stessa.

Nello yoga si fanno i muscoli? Se si parla di volume, non è detto! Se si parla in termini di elasticità e potenza,allora si. Tornando alla foto per poter raggiungere quella posizione bisogna avere sufficiente potenza degli avambracci e degli addominali ma soprattutto mobilità delle articolazioni delle anche. Va però detto che il bravo yogini, cioè colui che pratica lo yoga, raggiunge la posizione attraverso successivi stati di equilibrio e nella posizione di equilibrio il ricorso alla forza è minimo. E’ più importante aver consapevolezza del proprio corpo.

Nello yoga ci si addormenta? Non si dovrebbe! Ma durante alcune tecniche di rilassamento tipiche dello yoga nidra, che portano ad un sonno apparente in cui però la mente rimane vigile ma sgombra da pensieri, la differenza tra sonno apparente e sonno vero e proprio è molto labile, soprattutto se uno ha sonno(quello vero).

E con questo è tutto. Non so se ho reso un buon servizio allo yoga. Spero comunque che se anche, cosa che credo, non sono riuscito a spiegare cosa sia lo yoga, di avervi fatto venire almeno la voglia o la curiosità di provare.

Arinamastè

giovedì 9 ottobre 2008

YOGA e sai cosa bevi


Nel seguire la nuova linea editoriale del blog di trattare di argomenti di stringente attualità: oggi mi occuperò di yoga. E che centra lo yoga con l’attualità? La domanda che vi state sicuramente ponendo è legittima ma un’attinenza, per quanto forse un po’ tirata per i capelli, vi posso assicurare c’è. Innanzitutto la pratica dello yoga in questi ultimi tempi, caratterizzati da un sempre crescente senso di ansietà verso la crisi economica e finanziaria, potrebbe aiutare ciascuno di noi a recuperare la serenità perduta e questa di per se è già un’esigenza attuale. Ce da dire poi che la settimana scorsa ho ripreso le mie lezioni di yoga: più attualità di così! Direte, a questo punto, che la mia concezione di attualità sia un po’ egocentrica. Forse. Ma d’altra parte, come detto, pratico lo yoga e questa disciplina come la maggior parte delle filosofie orientali, pone l’individuo al centro dell’universo… quindi….

Quando conoscendo nuove persone dico loro che faccio yoga la domanda che mi pongono è sempre la stessa: “com’è?”. La mia risposta pure è sempre la stessa: “prova”. Questo perché è intrinsecamente difficile descrivere cosa sia lo yoga visto che è una pratica che porta ad una consapevolezza del se, inteso come unione di corpo e mente, che difficilmente qualcun altro diverso da voi stessi può tentare di spiegarvi. Anche a voi quindi vi rivolgo l’invito a seguire, possibilmente liberi da qualsiasi forma di pregiudizio, le lezioni di prova, che tra l’altro sono generalmente anche gratuite, in qualche palestra dove si faccia yoga. Detto questo provo, a spiegare cosa è lo yoga.

Lo yoga è una disciplina nata in India più di tremila anni fa e nasce come un percorso costituito da esercizi psicofisici che portano chi lo pratica all’unione con il trascendente. Ora il trascendente per gli indiani, che lo yoga l’hanno inventato e che sono induisti, si identifica con Dio. Ma in senso più lato si può intendere il trascendente come energia cosmica o universo, nel senso più ampio del termine. In occidente, meno male dico io, la parte spirituale è passata in secondo piano e ci si è focalizzati in particolare sugli esercizi psicofisici. Questi ultimi hanno lo scopo di dominare il corpo e la mente da cui il nome “yoga” che in sanscrito vuol dire infatti giogo, soggiogare. Gli esercizi per antonomasia dello yoga sono le “asana” cioè delle posizioni, che spesso hanno nomi di animali (leone, gatto, cobra, ecc.) ma anche di oggetti (candela, aratro, tavolo, ecc) o legati all’uomo (eroe, cadavere, feto, ecc). Queste posizioni, che sono posture statiche di equilibrio, servono ad incanalare l’energia in diverse parti del corpo il tutto accompagnato da un controllo puntuale della respirazione. Il controllo del tipo e dei tempi della respirazione ha lo scopo, oltre ad accumulare l’energia nelle diverse parti del corpo focalizzate dall’asana stessa , di distogliere la mente da tutti quei pensieri che sempre la rendono inquieta e la divagano. L’assenza totale di pensieri che è poi il fine ultimo della meditazione, è uno degli scopi dello yoga e porta all’unione tra l’individuo e l’universo. Se un individuo è in equilibrio con l’universo è in pace con se stesso. E solo se una persona è in equilibrio con se stessa riesce ad essere in equilibrio con gli altri. Ed è questo ultimo aspetto che tanto appaga chi pratica lo yoga e gli dà equilibrio insieme a una maggiore consapevolezza del proprio corpo.

Tutto chiaro? No? Lo sapevo! D’altronde ve l’avevo detto di provare!

Comunque nel prossimo post cercherò di spiegarvi meglio l’essenza dello yoga magari con esempi o rispondendo a quelle domande che più frequentemente mi vengono rivolte a riguardo ( Si suda? Rilassa? Crescono i muscoli?)

Namastè (नमस्ते)

giovedì 2 ottobre 2008

PDF - Prodotti Derivati (Finanziari)


Visto che lo scopo che mi sono prefissato ultimamente è quello di aumentare il numero di visitatori di questo blog, passo i ritagli di tempo libero col pensare a cosa fare per riuscire nell’intento. Il compito non è facile ma ci provo. Sono giunto alla conclusione che per attirare l’attenzione di un numero sempre più maggiore di lettori è opportuno occuparsi di argomenti di stretta attualità che possano quindi attirare l’attenzione immediata di un più vasto pubblico: di gettarsi cioè sulla notizia. E che c’è di più attuale della crisi finanziaria planetaria? Premetto che io non sono un analista finanziario quindi quello che sto per dirvi potrebbe contenere delle inesattezze, ma spero mi perdonerete per questo.

In questo periodo tutti sono preoccupati delle possibili conseguenze della grave crisi finanziaria statunitense sui nostri risparmi e sui nostri investimenti. Devo dire che non avendo pressoché risparmi e non avendo soldi investiti.la cosa mi interessa relativamente poco. Ma avendo deciso di interessarmi di attualità, con spirito di servizio e abnegazione, mi sono documentato e qualcosa ho capito, magari è sbagliata ma tant’è. Ecco quello che ho capito.

Innanzitutto perché la crisi del sistema finanziario americano influisce sui risparmiatori italiani? La risposta si chiama anche ma non solo, prodotti finanziari strutturati. In questi giorni  se ne fa un gran parlare e non c’è giornalista o politico di turno che non se ne riempia la bocca. Il problema, e questo è tipico di gran parte del giornalismo nostrano, è che questi signori danno per scontato che tutti sappiano cosa siano i prodotti finanziari strutturati: nessuno che si prende la briga di spiegarlo. Io ci provo.

Allora gli strutturati dovrebbero corrispondere, almeno credo, con i prodotti finanziari derivati, così chiamati perché derivano il loro valore da prodotti sottostanti. Questi “sottostanti”possono essere bene reali (come soia, petrolio, caffè, ecc.) o avere natura finanziaria (valore di azioni, indice di borsa, valore di cambio di una specifica valuta, ecc.). Poi, a seconda che si compri il sottostante o solo il diritto a farlo, i derivati si dividono in “futures” e “options”. Siccome le options non le ho capite cercherò di spiegarvi i futures. In particolare i futures che hanno come sottostanti dei beni reali perché sono più facili da spiegare. I futures non sono nient’altro che un contratto a termine. Facciamo un esempio. Mettiamo che in Arkansas ci sia un produttore di mais che è angustiato dalla instabilità del prezzo del mais che dipende da variabili climatiche e ambientali. Dall’altra parte, sempre in Arkansas, c’è un allevatore di suini che ha necessità di comprare mais da utilizzare come mangime per i maiali ma non vuole sottostare alla variabilità del prezzo di quest’ultimo perché vuole pianificare per tempo le sue esposizioni finanziarie. Allora i due si accordano in anticipo sul costo del raccolto futuro di mais e sulla quantità della compravendita. Cioè, per esempio, il produttore si impegna a consegnare tra sei mesi all’allevatore una tonnellata di mais e l’allevatore a pagare alla consegna del mais diciamo mille dollari. E fino a qui è semplice. Poi perché il mondo del commercio è un mondo di pescecani il contratto stipulato viene depositato in Borsa. Questa, chiedendo le opportune garanzie finanziarie a venditore e compratore, garantirà che il contratto venga onorato da entrambe le parti. In questo modo allevatore e agricoltore si tutelano da future fluttuazioni dei prezzi. Sembrerebbe un meccanismo semplice e virtuoso. Ma perché lasciare che il contratto, benché congelato nel prezzo, riposi tranquillo fino a scadenza nelle giacenze della Borsa?  La Borsa può metterlo sul mercato, intero o spezzettato che sia. Chi crede che il prezzo del mais tra sei mesi supererà il valore pattuito dal nostro agricoltore e dal nostro allevatore dell’Arkansas, potrà impegnarsi a comprare a mille dollari la tonnellata di mais per poi rivenderla al prezzo più alto di mercato, diciamo mille e duecento dollari, guadagnandoci quindi sopra. Chi invece pensa che tra sei mesi il prezzo del mais sarà minore di quello pattuito nel contratto potrà impegnarsi a consegnare la tonnellata di mais, che comprerà sul mercato diciamo a ottocento dollari, all’allevatore che la pagherà comunque mille dollari come si era impegnato a fare, guadagnandoci quindi sopra. Ora appare chiaro che se il prezzo del mais aumenterà nei mesi successivi di duecento dollari rispetto ai mille stabiliti, chi ha comprato una tonnellata di mais a mille dollari ci guadagnerà duecento dollari e chi si è impegnato a fornirla a mille dollari ci perderà duecento dollari e viceversa nel caso di diminuzione del prezzo. La partita contabile si deve infatti chiudere in pareggio e per uno che guadagna c’è uno che perde. Non è nient’altro che una scommessa sul prezzo futuro di un bene. La stessa cosa si può estendere a qualsiasi cosa anche, per esempio, al valore ad un dato momento di una valuta monetaria. Questi sono i futures, in soldoni.Il problema è che il mercato finanziario non ha confini e quindi nel vostro fondo di investimento ci può essere qualche prodotto finanziario derivato che dipende magari proprio dal prezzo che avrà tra sei mesi il mais alla Borsa di Chicago o dal valore che avrà tra un anno il dollaro neozelandese. E se il mercato USA crolla i nostri futures crollano con lui. A parte questo poi il problema più grande è la mancanza di trasparenza. Innanzitutto quanto ci verrà pagato, anzi vi verrà perché io i futures non ce li ho, in funzione dell’esito dei derivati è in genere sempre quanto meno nebuloso. Infatti viene pagata una cedola che ad esempio può essere pari ad una certa percentuale del valore assoluto della media aritmetica delle variazioni percentuali fatte registrare dal fattore di indicizzazione del parametro di riferimento (il prezzo del mais del nostro esempio). Neanche Tremonti riuscirebbe ad essere più contorto! Secondo poi sarebbe bello sapere da cosa fisicamente il nostro (vostro) fondo di investimento dipende. A me piacerebbe sapere ad esempio sapere che le mie fortune dipendono dal valore del mais dell’Arkansas e dal valore del dollaro neozelandese. Potrei, per quanto nelle mie facoltà, adoperarmi per farne crescere i valori. Che andate a fare in vacanza in Australia, che è pieno di animali velenosissimi?! Andate piuttosto in Nuova Zelanda che lì non ce ne sono. Non vorrete mica andare in Tasmania?! Che lì a parte il diavolo non c’è niente altro. Andate in New Zeland e spendete lì i vostri soldi che così il suo dollaro sale. E poi ancora, che mangiate il prosciutto di Parma. Ma mangiate piuttosto l’ottimo Arkansas slow-smoked ham, il famoso prosciutto affumicato dell’Arkansas, fatto con i maiali dell’Arkansas che mangiano tanto mais dell’Arkansas…….

venerdì 26 settembre 2008

IN HOC SITO VINCES


La parafrasi della famosa frase attribuita a Costantino e da questi pronunciata prima della battaglia vittoriosa contro Massenzio spero sia di buon auspicio per questo sito o più precisamente per questo blog. Non mi posso lamentare dell’andamento del numero delle visite giornaliere e dell’apprezzamento dimostrato da alcuni di voi per voce o per e-mail: insomma, come si direbbe in termini televisivi, l’indice di gradimento è alto. In effetti dopo una lunga pausa ho ripreso a postare con una certa assiduità e la cosa ha portato a risultati lusinghieri in termine di numero di contatti. D’altronde per poter scrivere con frequenza quasi giornaliera bisogna avere cose da dire o da raccontare e la cosa mi succede in genere facilmente solo di ritorno da qualche viaggio: è che dovrei viaggiare più spesso. Cercherò di migliorare su questo aspetto. Anche gli introiti degli annunci pubblicitari pubblicati sono confortanti e anche al di sopra delle aspettative iniziali. Per tutto questo vi ringrazio. Ma ormai le vacanze si stanno allontanando nel tempo e siamo rientrati nella routine quotidiana e su questa sarà più difficile trovare spunti interessanti su cui scrivere. E questo ahimè porterà ad un calo di presenze nel sito. Cosa fare allora per mantenere vivo l’interesse nel blog e renderlo addirittura più appetibile? Vediamo. Il nome “Morcatana” è ,direi, azzeccato: è di fantasia ma evocativo, elegante ma accattivante. Se inserite la parola morcatana nella pagina di ricerca di Google, il link di questo blog sarà il primo nella lista dei risultati: quindi indubbiamente il nome funziona. Ma viviamo nella società dell’immagine dove l’apparenza soverchia i contenuti e mi accorgo che il blog non ha un logo! Ecco dove posso intervenire per migliorare questo sito: creare un logo che rimanga nelle menti e nei cuori. E siccome non sono un grafico e non mi va di pagarne uno, ho pensato di indire un concorso, aperto a tutti voi, per la creazione del logo ufficiale di Morcatana. Chi di voi vorrà partecipare potrà creare il logo in formato jpeg (può essre anche una foto) e inviarlo insieme ad un vostro nick name  alle seguente e-mail: luther-blisset@hotmail.it. Tutti i loghi che perverranno verranno pubblicati sul blog (vedi spazio in fondo alla pagina). Le vostre creazioni grafiche dovranno pervenire improrogabilmente entro il 15/10/2008. Il 16/10/2008 verrà aperta una votazione aperta a tutti i lettori del blog e il logo che alla data del 31/10/2008 avrà ricevuto più voti verrà assunto come logo ufficiale e diventerà parte integrante della veste grafica del sito. “Che si vince?” vi starete giustamente chiedendo. Potrei mettere in palio dei soldi ma questi sono fugaci e transitori e io voglio che il premio sia invece qualcosa che rimanga imperituro nel tempo. Quindi a parte la mia più profonda e incondizionata gratitudine, che a me parrebbe comunque più che sufficiente, il vincitore verrà citato nei credits del sito insieme ai suoi riferimenti e , se vorrà, a una sua foto che campeggerà nella pagina web per tutti i giorni a venire.

Beh mi sembra proprio tutto e quindi come direbbe qualcuno non troppo alto ma molto in voga in questo periodo: “buon lavoro”.

A presto.

martedì 23 settembre 2008

MITUMBA DI RITORNO


Pensavo di aver detto tutto sull’argomento (vedi Mitumba parte1 e parte2). Ma mi sbagliavo! L’Africa è sempre pronta a stupirti e quando pensi ormai di conoscerla ti spiazza con aspetti nuovi e inconsueti. Come è successo anche durante il viaggio di questo anno in Uganda. A Michele e Lara, miei compagni di viaggio di Milano, l’Egyptair ha smarrito i bagagli. Questi partiti da Malpensa si sono fermati al Cairo e non hanno proseguito per Entebbe come i loro proprietari. Sarebbero arrivati all’aeroporto di Entebbe soltanto parecchi giorni dopo di loro. E così Lara e Michele si sono visti costretti ad affrontare la prima parte del viaggio con i soli vestiti che indossavano al momento della partenza a parte qualche capo di vestiario che era contenuto nel loro bagaglio a mano. Ma da buoni viaggiatori non si sono persi d’animo e non ne hanno fatto un dramma. In particolare Michele appena arrivati nella cittadina di Fort Portal, dopo qualche giorno di campeggio nei parchi naturali, ha comprato in un piccolo negozio locale una maglietta usata. Una maglietta arancione, mi pare, leggermente scucita su una spalla con una macchia sul davanti ma pulita di bucato, che ha pagato un paio di dollari. E Michele (che è tale e quale a Guido Meda solo forse un po’ più giovane) quella maglietta la sfoggiava divertito ed orgoglioso. Ora la maglietta era sicuramente di provenienza europea una classica “mitumba” che qualche ragazzo europeo ha scartato perchè vecchia, la cui madre ha portato in qualche centro di raccolta di abiti usati per i meno abbienti e che dopo un lungo viaggio è finita nel circuito africano della vendita delle magliette usate. Mercato questo destinato normalmente a quegli africani non poverissimi che possono permettersi di pagare qualche migliaio di scellini per una T-shirt.e di cui Michele ha rappresentato una anomalia: un europeo che prima si disfa della maglietta ma che poi in caso di necessità se la ricompra, anche se chiaramente non la stessa ma una simile, a migliaia di chilometri di distanza. Ora non so se Michele quella maglietta l’abbia riportata in Italia oppure no, nel caso la maglietta avrebbe diritto a fregiarsi del titolo di frequent flyer. Ma anche nel caso che la maglietta sia stata abbandonata in qualche posto in Uganda e quindi con ogni probabilità riutilizzata da qualche africano, la storia si presta a qualche riflessione interessante. Innanzitutto le T-shirt sembrano dotate di sette vite come i gatti. Io ad esempio quando ho una maglietta ormai vecchia che versa in pessime condizioni non la butto ma la metto nello zaino dove la conservo pronta per essere utilizzata nel prossimo viaggio estivo. E così la maglietta che altrimenti sarebbe stata destinata alla spazzatura vive d’estate una nuova vita in qualche parte del terzo mondo. Qui una volta utilizzata viene da me abbandonata in un posto dove qualcuno possa facilmente trovarla e volendo riutilizzarla, dopo sicuramente averla però lavata. Mi fa piacere pensare che qualcuno possa  utilizzare qualcosa di mio e mi incuriosisce immaginare la storia che queste magliette possono avere dopo il mio abbandono. Chissà che fine avrà fatto la maglietta azzurra abbandonata su quel prato in Chiapas, o quella grigia lasciata su quella steccionata al lago Natron o quella polo blu lasciata sul ramo di un albero nel parco del Queen Elizabeth. Chissà chi le avrà utilizzate e se ancora le utilizza o se magari hanno cambiato proprietario e località. E poi questo concetto di T-shirt sharing potrebbe rivelarsi utile e interessante. Si potrebbe quasi partire senza bagaglio. Uno quando sporca i vestiti che porta li abbandona da qualche parte e ne compra per pochi soldi di nuovi, usati ma puliti. Anche se forse farebbe meglio a procacciarsi i nuovi vestiti prima di abbandonare quelli vecchi e sporchi.… Pensate zaini leggeri e mezzi vuoti che al ritorno possono essere riempiti con prodotti dell’artigianato locale da riportare in Italia piuttosto che con vestiti vecchi, sporchi e puzzolenti. Per noi europei ricchi sarebbe una comodità, per loro i poveri del mondo sarebbe un’opportunità.

venerdì 19 settembre 2008

PICCOLO SPAZIO PUBBLICITA'


Come forse qualcuno di voi, assidui lettori, avrà notato, nel blog è apparsa la pubblicità. In alto a sinistra e in fondo alla pagina web sono apparsi gli annunci di Google. Perché l’ho fatto vi chiedete? Boh! La cosa mi incuriosiva e ho provato ad implementare annunci pubblicitari per la semplice curiosità di capire come si faceva e cosa la cosa comportava, anche in termini economici. Paola, che è la compagna di mio fratello (la mia quasi cognata) mi aveva detto che sul suo blog http://diariodicucina.myblog.it/ (se volete potete andare a vederlo ma sappiate che non c’è neanche la ricetta dei waffle!) aveva già inserito le inserzioni pubblicitarie e mi aveva anche mandato via e-mail i link di alcuni siti che offrivano questo servizio. Questo accadeva alcuni mesi fa. L’altro giorno mi torna in mente la cosa, vado a ricercare la preziosa mail e chiaramente non la trovo ma non demordo faccio una ricerca su internet e trovo che Google AdSense può fare al caso mio. Mi collego faccio la registrazione aspetto la mail di conferma e in meno di 3 ore sono operativo. Ho un account su Google AdSense dal quale posso scaricare i codici html degli annunci da implementare sul blog e soprattutto una pagina con i report aggiornati in tempo reale dell’andamento delle visite e dei clic degli annunci pubblicati sul blog. Cioè, in soldoni (ma in questo caso sarebbe più opportuno dire: in soldini), ad ogni clic fatto da ognuno di voi sugli annunci, l’inerzionista mi riconosce un piccolo pagamento. Capito? Che state a fare lì ancora a leggere il post? Andate subito a cliccare sugli annunci!

Fatto? Bene allora adesso potete proseguire nella lettura… A parte che, come mi ha confermato anche il Dr House, il ciccare sugli annunci rappresenta un utile esercizio fisioterapico che aiuta a guarire ma anche a prevenire la sindrome del tunnel carpale (STC), cosi facendo contribuirete, anche se in minimissima parte, a mantenermi: una specie di adozione a distanza ma omeopatica. Tra l’altro gli annunci scelti in automatico da Google AdSense sono associati al contenuto specifico del blog, ecco perché in questo momento sono inerenti a fantomatici viaggi in Africa o a strani servizi di magia bianca, e quindi, in ultima analisi, potrebbero anche facilmente rivelarsi utili ai vostri scopi Tutta la vicenda comunque mi ha portato a capire alcune cose. Innanzitutto ho capito come facciano colossi come Google ad esistere e sopravvivere. I servizi di ricerca forniti a tutti noi in maniera gratuita sono pagati e anche profumatamente dagli inserzionisti pubblicitari non solo della pagina di ricerca di google search ma anche delle pagine dei risultati, come in una moderna e lucrosa catena di S. Antonio. L’altra cosa che ho capito è che per poter vivere di pubblicità in internet bisogna possedere un sito con moltissime visite giornaliere. Io in quattro giorni di annunci ho racimolato la bellezza di US$ 3,55. Considerando che c’era stata una domenica di mezzo il mio blog ha la potenzialità di farmi guadagnare circa un dollaro al giorno quindi diciamo circa $ 350 all’anno. Un po’ pochino per camparci. Ho paura che dovrò continuare a lavorare…

Però, ora che ci penso $ 350 sono pochi in Italia, ma all’estero? In qualche paese del terzo mondo? Magari in Africa? Allora mi documento e scarico dal sito dell’International Monetary Fund IMF (http://www.imf.org/) il file excel riportante insieme ad altri dati, i redditi nazionali pro capite di tutti i paesi africani. Cancello i dati che non mi interessano e ordino quelli rimanenti in ordine crescente di reddito procapite annuo del 2006 e osservo la tabella. Si va dai $ 120 del Burundi ai $ 9366 delle Seychelles. Chiaramente queste ultime non me le posso permettere, cosi come non mi posso permettere gli stati del nord Africa tutti sopra i mille dollari, per non parlare poi del Sud Africa: $ 5418 o del Botswana: $ 7021. Però avrei di che vivere in Uganda o Rwanda entrambe intorno a $ 315 o anche con qualche sforzo in più sulle spiagge di Madagascar o Mozambico sui $ 335. La Tanzania invece è appena fuori del mio budget: $ 371 sono un po’ più di quello che mi posso permettere senza considerare che i dati dell’IMF sono in rialzo per questi stati africani. Peccato! Mi sarei visto bene sulle bianche spiagge di Zanzibar tra un bagno, un cocco e una birra con l’unica incombenza di scrivere sul portatile, magari al tramonto all’ombra di un banano e sorseggiando Amarula, qualche bel post sulla vita locale ... Popobawa permettendo certo… Ma un attimo ora che ci penso questo dipende solo da voi! Quindi finito di leggere questo post cominciate a ciccare sugli annunci e non fermatevi se non per crampi. E spargete la voce.

Asante sana.


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Per il logo si ringrazia Lucaft qui ritratto in foto