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domenica 27 novembre 2011

NOTORIOUS


Mi è sempre piaciuta l'etimologia delle parole in particolare di quelle straniere. Scoprire delle origini comuni tra lingue diverse è un esercizio intellettuale che trovo al contempo stimolante ed intrigante e che mi fa sentire, in qualche maniera, meno provinciale e più cittadino del mondo. Ora non è che conosca poi tutte queste lingue: parlo l'inglese in maniera poco più che scolastica, riesco ad esprimere qualche concetto elementare in spagnolo, balbetto qualche parola in francese e so contare fino a dieci in swahili (per quel che può servire!); per cui il mio interesse etimologico per le parole straniere si limita quasi esclusivamente a quelle inglesi.
Da questo punto di vista comunque la lingua inglese si presta a considerazioni interessanti.
Tutti abbiamo imparato a scuola che l'inglese è una lingua di origine anglosassone e quindi appartenente al ceppo delle lingue di origine germanica (la Sassonia è infatti una regione della Germania). Meno enfasi comunemente si dà al fatto che il latino ha contribuito in maniera massiccia allo sviluppo dell'inglese così come lo conosciamo oggi. Infatti oltre il 50% delle parole del vocabolario inglese derivano da termini latini e molte delle stesse parole inglesi di origine germanica hanno un sinonimo di origine latina (basti pensare a freedom e liberty o a pig e pork ecc.). Trovare delle origini comuni alla nostra lingua nelle parole inglesi è una cosa che da una parte ci regala qualche piccola soddisfazione - soprattutto in questo periodo storico in cui la nostra lingua è terreno di conquista per i neologismi e i barbarismi inglesi, sentirsi i diretti discendenti di quegli antichi romani che esportarono il latino fino alla Britannia non può che farci inorgoglire, anche se ad onor del vero bisogna dire che solo una piccola parte dei vocaboli inglesi di origine latina furono introdotti al tempo dell'invasione delle legioni di Roma ma entrarono a far parte della lingua solo molti secoli dopo per mezzo del francese, lingua di origine latina, a seguito dell'invasione normanna e per il fatto che il francese per un certo periodo fu considerata come la lingua colta della nobiltà tanto da essere di utilizzo comune presso la corte d'Inghilterra - dall'altra ci facilita apparentemente l'eloquio anglofono. Dico apparentemente perché spesso sono proprio quelle parole inglesi che ci appaiono più familiari perché simili alle omologhe della nostra lingua, che nascondono insidie linguistiche subdole. Infatti se da una parte è vero che le nostre legioni portarono il loro bagaglio linguistico almeno fin al di qua del vallo di Adriano è altrettanto vero che le popolazioni locali non assorbirono nel tutto passivamente la dote di questi nuovi lemmi. Così qualche volta, oserei dire: anche fin troppo spesso, le parole inglesi di origine latina hanno sfumature di significato diverse rispetto alla corrispettive italiane cosicché si può facilmente incorrere facilmente nell'errore imperdonabile di utilizzare parole inappropriate. Senza allontanarci troppo dal vallo di Adriano di cui poco sopra, non sfuggirà, vista l'assonanza, che la parola inglese "wall" trova origine proprio dalla parola latina "vallum". Ora in latino il vallo era la fortificazione rappresentata dalle palizzate di legno che cingevano il castrum cioè l'accampamento delle legioni e che in senso più lato veniva riferita alle fortificazioni in genere: sia che esse fossero di legno, di pietra o di mattoni. E mentre in italiano la parola vallo ha mantenuto il significato originale latino, gli inglesi che di vallo ebbero come imponente modello quello in muratura di pietra di Adriano, estesero il concetto di vallo cioè di wall alle murature in genere perdendo così il significato originario più specifico di fortificazione.
Ma aggiungiamo un altro mattone al vallo (per dirla alla Roger Waters) del nostro discorso e facciamo un altro caso esemplificativo di quanto sopra esposto.
Prendiamo le parole inglesi "notorious" e "famous". Sono chiaramente entrambe di origine latina: la prima deriva da notus che è il participio perfetto del verbo noscere (variante del più frequente gnoscere); la seconda viene dall'aggettivo famosus. Ma mentre i corrispettivi in italiano: notorio e famoso, sono sinonimi; in inglese famous e notorious non sono del tutto equivalenti. Infatti sebbene entrambi significano "famoso" nel senso di conosciuto, hanno una sfumatura diversa. Il primo possiede un'accezione negativa e si riferisce a qualcosa o qualcuno noto per delle caratteristiche negative cosicché può farsi corrispondere all'italiano "famigerato" mentre il secondo si riferisce a chi ha fama intesa in senso positivo. Per cui se parlando ad un britannico nella sua lingua, vi riferite al Papa coll'aggettivo notorious non vi stupite se questi vi guarderà con stupore a meno che non sia un anglicano antipapista convinto.
Quindi ricordate se non volete fare gaffe, Napolitano è famous; Berlusconi invece è notorious, tristemente notorious...

sabato 19 novembre 2011

BISOGNA AVER PAURA DI CHI HA PAURA


Oggi sabato, come spesso mi accade, sono stato a pranzo dai miei. Sono le 13:30 passate da un po' e mentre attacco il piatto di ravioli ai carciofi cha mi ha preparato mia madre sento distrattamente le notizie che vengono sciorinate dal telegiornale in onda sulla tv lasciata accesa. All'inizio si parla inevitabilmente di Monti e di come il PDL pur garantendo il suo appoggio leale, non accetterà passivamente i diktat del nuovo governo con il ricatto, sempre dietro l'angolo, di staccare la spina. Ma non voglio che la voce fastidiosa di Cicchitto mi rovini il primo e mi concentro sui ravioli che sono davvero buoni. Poi però nell'attesa tra il primo ed il secondo la mente torna a concentrarsi sulle notizie provenienti dal tg. Le ascolto distrattamente soprappensiero mentre rispondo alle domande di mia madre. Ma poi mi accorgo che c'è qualcosa di strano: una striscia ininterrotta di notizie di cronaca nera. Benzinai rapinati ed uccisi, gioiellieri bastonati, ville depredate da bande di violenti albanesi. Ecco che c'è di strano: è il tg1 della Rai! Non so perché ma i miei guardano quasi esclusivamente Rai 1 e quindi anche il relativo tg. Io invece seguo quasi sempre il tg di Mentana su La7 e lì di spazio alla cronaca nera non se ne dà molto. Mi ricordo che ieri sera aveva riportato anche lui la notizia della rapina conclusasi tragicamente con l'omicidio del benzinaio avvenuta a Thiene vicino Vicenza ma l'aveva fatto con la dovuta sobrietà e stringatezza: pochi secondi in tutto, come ritengo giusto che sia. Capiamoci, la notizia in sé è terribile. Essere uccisi mentre si lavora, per poche centinaia di euro, rappresenta qualcosa che lascia sgomenti. Ma fare un sevizio di alcuni minuti in cui si ritraggono i luoghi del delitto o si intervistano magari i parenti della vittima non aggiunge nulla alla notizia in sé ma rappresenta solo un accondiscendere agli aspetti più morbosi e voyeuristici del telespettatore medio. Ma d'altronde siamo sulla rete di Vespa e non è lecito aspettarsi molto di meglio.
Comunque la cosa al momento finisce lì, poi però torno a casa e mi documento, si perché questo dopo tutto è un blog di servizio. Così riguardo sul sito web della Rai l'edizione del tg e prendo qualche appunto.
Notizie politiche: sette minuti (si capisce non c'è più Berlusconi!), poi cinque minuti in cui sono riportate con dovizia di particolari: l'omicidio a scopo di rapina del povero benzinaio di Thiene; a corollario di questa notizia un servizio sulle rapine ai benzinai (vengono intervistati due benzinai di Roma mentre campeggia la scritta "lavoriamo nel terrore" e con la giornalista che incalza "la criminalità osa sempre di più"; poi la notizia della gioielliera bastonata a Novara per rapina e poi ancora la banda di albanesi che terrorizzava le ville isolate del perugino con anche Serse Cosmi tra le vittime.
Ora ne ho la certezza Berlusconi, come d'altronde aveva già annunciato, ha riaperto la campagna elettorale.
La strategia non è nuova: grazie al Minzolini di turno, minimizzare ciò che potrà fare di buono chi lo sta sostituendo e cioè Monti salvo poi amplificare i suoi eventuali quanto auspicabili passi falsi e nel contempo creare un clima di paura e di sgomento nell'elettorato così da presentarsi al momento opportuno come unico possibile salvatore della Patria.
Attenzione perché il governo che è appena caduto è nato e ha prosperato sulla paura e sul ricatto sottostante la paura. Paura del nemico di turno che viene demonizzato. Avversari politici offesi anche a livello personale; giornalisti e magistrati visti quali attentatori della privacy di ognuno e considerati come antropologicamente diversi. Paura del diverso e dello straniero, paura del domani, dei giovani visti come possibili sovversivi dell'ordine costituito, di chi protesta che viene sempre visto come un facinoroso, di chi la pensa diversamente che viene trattato alla stregua di un appestato, di chi detiene la cultura che viene visto come un debosciato mangia pane a ufo.
Non bisogna avere paura di Berlusconi che alla fin fine è un ometto buffo e anziano con seri problemi psicologici riguardo alla percezione di sé e all'accettazione di sé, quanto di chi ha avvallato e reso possibile il berlusconismo.
Bisogna avere paura di chi ha paura.

venerdì 11 novembre 2011

Un caso di coscienza


Mi rivolgo questa volta ai miei amici blogger o a quanti tra i miei lettori scrivono a vario titolo per lavoro o per diletto.
Immagino che sarà capitato anche a voi nel leggere romanzi, articoli giornalistici, saggi o post su internet, di esservi imbattuti in quelle pagine che riportano nero su bianco ma scritte da altri, riflessioni e considerazioni che riconoscete in qualche modo, subito come vostre. Trovate cioè riportate da qualcun altro cose che avreste voluto scrivere da tempo ma non avete avuto il tempo o la voglia di fare prima. Maledetta pigrizia!
Certo, magari quello che avreste aver voluto scrivere, lo trovate scritto meglio di quanto voi avreste potuto mai fare, perché bisogna dirlo: alla fine di autori più bravi od arguti di noi in giro se ne trovano, per fortuna, sempre. Battuti sul tempo e col rammarico di non essere stati più solerti e costruttivi; cosa fare in questo caso?
Fare finta di niente è sicuramente il primo impulso, anche il più comodo. Con un po' di fortuna chi vi legge non condivide le vostre stesse letture e i vostri scritti potranno passare per originali senza il rischio di poter essere tacciati di plagio. D'altronde di cose originali da dire ce ne sono ormai poche e questo non può essere un alibi per l'astenersi dallo scrivere con continuità.
Devo dire che a meno che l'intento dello scritto non sia meramente divulgativo, per cui è pacifico che l'argomento di cui si scrive non sia farina del proprio sacco; mi trovo sempre un po' in imbarazzo a non detenere l'assoluta originalità di ciò di cui scrivo. Ma l'imbarazzo è solo iniziale, il tempo di scrivere i primi periodi e poi l'estro creativo ha il sopravvento su eventuali remore moralistiche.
Forse in questi casi sarebbe però onesto citare la fonte, anche se non direttamente. Basterebbe scrivere en passant "come ha già scritto Tizio" o "come pensa di fare Caio", a mo' di citazione, per mettere a tacere la coscienza, sempre per chi ne abbia una.
Io personalmente tendo a tralasciare qualsiasi forma di citazione laddove l'autore seppur più solerte di quanto non lo sia stato io, non è ritenuto da me degno di nota. Mentre trovo sia giusto riportare la paternità della citazione qualora nell'autore ripongo stima ed ammirazione.
Tutto questo pippone nasce dal fatto che nel leggere "Infinite Jest" di David Foster Wallace un romanzo folle di oltre 1200 pagine di cui oltre 100 di sole note, mi sono imbattuto in alcune interessanti considerazioni che l'autore fa sul fallimento della videotelefonia rispetto alla telefonia tradizionale (solo voce). Con quello che scrive il compianto autore americano riguardo alle video chiamate, non solo mi sono trovato perfettamente concorde ma sono anche sicuro di aver espresso quegli stessi concetti a voce a Luca (mio mentore per tutto quello che riguarda la tecnologia ma non solo) in tempi non sospetti: quando cioè di Infinite Jest non avevo letto neanche una pagina. Leggere quei concetti che in qualche modo erano anche miei, superbamente espressi con ironia e arguzia da DFW nel suo romanzo, mi ha fatto venire la voglia di scrivere un post sull'argomento. Ma poi mi sono chiesto con quale coraggio riscrivere ciò che era stato tanto brillantemente già scritto. E' anche vero però, ho pensato, che non certo molti dei miei seppur acculturati lettori, avranno affrontato la titanica impresa rappresentata dalla lettura di Infinite Jest. Quindi penso che quel post, alla fine, lo scriverò riconoscendo apertamente però a DFW, l'originale paternità di certi concetti, nella speranza di instillare in chi magari non lo conosce la curiosità nei suoi confronti. Una specie di do ut des, io mi approprio delle sue riflessioni senza stare a recriminare sul fatto che comunque ero arrivato alle stesse conclusioni in piena autonomia e in compenso faccio opera di proselitismo.
Nel frattempo mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
A presto.

martedì 1 novembre 2011

It's all about the safety!


Allora ci provo pure io! Questo che state per leggere sarà il mio primo post scritto con un iPad (utilizzando pages, ovviamente e non potrebbe essere altrimenti)! Le prime sensazioni sono decisamente positive. Ho deciso di scrivere con l'iPad tenuto in posizione orizzontale così da avere a disposizione una tastiera più estesa e decisamente più comoda. La digitazione risulta precisa e spedita, anche se spedita è un parolone vista la mia scarsa propensione verso la dattilografia. Grazie Steve! Ora il problema, non di poco conto, è trovare qualcosa di interessante da scrivere.

So che è trascorso colpevolmente tanto, troppo tempo e che ormai l'estate e le relative vacanze sono solo un ricordo lontano, proiettati come siamo verso le prossime festività invernali e con le pubblicità di pandori e panettoni ormai alle porte. Ma quello che mi è accaduto quest'estate in Zambia vale la pena di essere raccontato comunque.
"It's all about the safety" è una frase che nell'Africa nera - o meglio in quei paesi dell'Africa nera dove si parla l'inglese e dove la presenza di turisti bianchi è numericamente significativa - viene ripetuta con assidua quanto sospetta frequenza dalle guide del posto agli ansiosi turisti europei o nord americani o sud africani, che siano. E' una frase che si sente ripetuta come un mantra ogni qualvolta si prenota un game drive (le escursioni in fuoristrada all'interno dei parchi per osservare gli animali selvatici nel loro habitat naturale) o si accede ad un campo tendato all'interno di una riserva naturale.
Io personalmente l'ho sentita ripetere decine di volte in giro per l'Africa: in Uganda come in Congo, in Tanzania come in Malawi, senza prestarci peraltro mai troppa attenzione. Solo quest'estate dopo l'attacco dell'elefante occorsoci nel parco del Kafue in Zambia ho capito cosa effettivamente c'è dietro questa frase. Si perché in Zambia il possente fuoristrada nipponico con il quale al tramonto stavamo facendo l'ennesimo game drive di una vacanza tutta all'insegna dei safari, accompagnati non da una ma da ben due guide del parco - perché chiaramente It's all about the safety -, è stato caricato senza tanti convenevoli da un elefantessa incazzata.
Ma andiamo per ordine. Siamo entrati nell'ultima parte di questa vacanza africana che ci ha portato a zonzo per il Botswana prima ed per lo Zambia poi; ancora qualche giorno e si riprende la via di casa, concedendoci prima di salire sull'aereo un paio di giorni alle cascate Vittoria che ci regaleranno le ultime forti emozioni di cui al post precedente.
Siamo da più di un'ora in macchina, il sole sta tramontando e quella che è la frescura del tramonto va trasformandosi in un freddo sempre più pungente e fastidioso; ma di Animali neanche l'ombra! Cioè qualche animale l'abbiamo visto: qualche impala e qualche kudu ma per chi, come noi, è reduce da dieci giorni di safari gli Animali, quelli con la a maiuscola, sono solo i big five.
Siamo annoiati e infreddoliti e non vediamo l'ora di rientrare al campo per la cena. Quando all'improvviso quello che non ti aspetti più: al lato della strada sterrata appena fuori della boscaglia a non più di qualche centinaio di metri da noi un gruppo di elefanti. La guida li vede all'ultimo, quando ormai sono al nostro lato, perché la boscaglia li schermava alla nostra vista e la luce del crepuscolo non facilitava certo l'avvistamento. Frena bruscamente, innesta la retromarcia si mette di lato al gruppo di pachidermi e spegne il motore. Non sono tantissimi: qualche femmina e tra loro dei piccoli. Gli elefanti hanno osservato con attenzione la nostra manovra un po' brusca e la matriarca del gruppo ci mostra tutto il suo disappunto aprendo le orecchie ai lati del testone e barrendo alzando la proboscide - il suo modo di dirci che non siamo i benvenuti - Ma è ancora lontana e non la avvertiamo come una minaccia da prendere in considerazione. A questo punto l'elefantessa che deve aver interpretato la nostra imperturbabile permanenza alla sua manifestazione di ostilità come un gesto di lesa maestà, corre verso di noi a testa bassa per una cinquantina di metri poi si ferma e ci ripete le sue rimostranze barrendo e allargando le orecchie. Ripete questa cosa di correrci contro e poi barrire un paio di volte. A questo punto non c'era bisogno di essere Danilo Mainardi per capire che era giunta l'ora di togliere le tende e anche piuttosto velocemente. Ma le nostre guide evidentemente non dovevano essere dei cultori di Superquark, perché non ci pensano proprio a rimettere in moto la jeep ma si limitano a raccomandarci di rimanere in silenzio perché gli elefanti, si sa, sono parecchio suscettibili ai rumori. L'elefantessa rimane un po' perplessa - ma come non se ne vanno? deve aver pensato - poi rompe gli indugi e parte per quella che è stata la carica finale. A questo punto quando cioè un discreto esemplare di Loxodonta Africana con una massa che presumibilmente si aggirava sui 4.000 kg e una velocità di circa 40 km/h (per gli amanti della fisica con un'energia cinetica di oltre 200 kJ) ci correva allegramente contro, anche le nostre serafiche guide decidono che è meglio telare. Ma la jeep non ne vuol sapere di mettersi in moto come d'altronde era già successo alla partenza - ma it's all about the safety - ed è solo con l'aiuto di quei 200 kJ, di cui parlavo prima, che impulsivamente colpiscono la parte posteriore del fuoristrada che quest'ultima si degna di partire. Nel tempo occorrente alla jeep per acquistare la velocità di crociera l'elefantessa ha il tempo di ricolpirci il posteriore un altro paio di volte. Poi riusciamo a mettere una distanza di una ventina di metri tra noi ed il pachiderma e ci dileguiamo alla massima velocità che la strada ed il mezzo ci consentono.
Stranamente di tutto quanto quello che è successo ho un ricordo adrenalinico ma non di puro terrore come forse sarebbe più giusto aspettarsi da una persona equilibrata quale penso di essere. Di tutta quella vicenda il ricordo più forte non è legato all'attacco in se ma al senso di impotenza, quello si angoscioso, provato quando per oltre duecento metri l'elefante ci ha inseguito senza che noi, lanciati a tutta velocità, riuscissimo a guadagnare terreno su di lei. Ecco il protrarsi di quell'inseguimento con la consapevolezza che il pericolo non poteva dirsi scampato perché il simpatico pachiderma ci seguiva dappresso senza perdere terreno, quello si che è stata un'esperienza forte. Seconda solo alla sensazione di progressiva necrosi della muscolatura del mio avambraccio destro perché per tutto il tempo dell'attacco, Daniela che mi sedeva accanto, mi ha stretto il braccio, in preda ad un terrore folle, con una forza inusitata per la sua corporatura esile.
Comunque tutto è bene quello che finisce bene. Alla fine l'elefantessa ha desistito dai suoi intenti bellicosi e così quando ci siamo portati a una distanza di sicurezza ci siamo fermati per valutare i danni riportati dal mezzo. I 200 kJ avevano causato un parziale rimodellazione della carrozzeria posteriore e tranciatura di un montante. Evidente niente di troppo importante visto che le nostre guide ne ridevano a crepapelle - chissà che tipo di assicurazione hanno da quelle parti? - Ma anche la bastarda, l'elefantessa intendo, aveva riportato i suoi danni odontoiatrici, visto che frammenti di zanna erano rimasti conficcati in più punti della carrozzeria.
Poi siccome in Africa le cose sono sempre imprevedibili c'ė stato un supplemento di avventura ma questo magari ve lo racconto la prossima volta che per questa volta mi sono dilungato anche troppo.
See you soon.

lunedì 12 settembre 2011

O Victoria (falls) O Muerte.


Mattina di sole di un inverno australe. Rapide sul fiume Zambesi, subito a valle delle cascate Vittoria. 810 m sopra il livello del mare e circa 2,5 m sotto il livello dello Zambesi.

Il posto dove mi trovo non è forse il migliore per apprezzare a pieno l'imponente spettacolo dello Zambesi costretto suo malgrado a scorrere entro la stretta gola basaltica che si apre sul fondo del baratro costituito dalle cascate più grandi del mondo. Però poi non è cosi male. Dalla posizione in cui mi trovo vedo in alto il ribollire maestoso della superficie del fiume ma del gommone da cui sono appena caduto facendo rafting non c'è più traccia.

Sarà perché faccio immersioni e per tale ragione sono abituato a stare sott'acqua, ma mi godo questo inatteso momento di pace. Qui, sotto due/tre metri di acqua, tutto è ovattato. Del ribollire impetuoso della superficie, affrontato con un gommoncino con cui io personalmente, non avrei affrontato neanche il mare di Ostia, rimane solo il ricordo. Me ne sto tranquillo come in un'immersione in corrente, senza neanche l'impaccio della muta, delle pinne e della maschera che ti schiaccia il viso. Si perché l'unica cosa che indosso, a parte il costume, è un giubbotto salvagente che una volta doveva essere di un bell'arancio acceso e la pagaia che tengo imbracciata in diagonale davanti al torace come farebbe un soldato col suo fucile durante uno sbarco iniziato un po' troppo presto. D'altronde quello di non mollare mai la pagaia è quanto mi è stato insegnato solo qualche decina di minuti prima, dal capo istruttore di rafting durante il briefing di preparazione. Briefing che per inciso, ho seguito con lo stesso stato d'animo con cui Mr X nel film Fandango, seguiva le lezioni impartitegli dall'improbabile istruttore di paracadutismo della Pecos Parachute School sperduta nel deserto.

Comunque come vi dicevo me no sto tranquillo sotto tre metri di acqua, osservo la superficie burrascosa e respiro con calma aria dal mio erogatore.... Oh cazzo! Ma ora che ci penso, io non ho l'erogatore!

Per tutto questo tempo non ho respirato neanche una volta ma sono rimasto in una forzata apnea!

Ma non disperiamo, rimaniamo calmi. Sicuramente ora il giubbotto salvagente che indosso svolgerà il compito per cui è stato concepito e me ne tornerò tranquillamente a galla.

Comincio ad essere in debito di ossigeno e la necessità di respirare comincia a farsi impellente. Ma continuo a rimanere sott'acqua e di venire a galla non c'è verso. Ma possibile che neanche i salvagente funzionano in questo cazzo di continente? E' questo quello a cui stavo pensando quando la corrente del fiume che fino a quel momento mi aveva tenuto giù si degna di riportarmi in superficie. Ma è solo per un momento! Affannosamente trangugio acqua e aria ma non faccio nemmeno in tempo a pensare a tutti gli ippopotami e ai bufali che in quelle acque ho visto defecare solo qualche decina di chilometro a monte lungo il fiume Chobe che dello Zambesi è un affluente, che subito la corrente mi riporta sotto. E questa volta ho veramente poca aria a disposizione. Comincio a pensare che quella di fare rafting in queste acque non sia stata proprio una bella idea quando come per incanto, la rapida finisce e mi ritrovo a riemergere in un tratto di fiume relativamente più tranquillo. Sto cercando di capire dove sono quando tra il frastuono dell'acqua sento provenire da dietro le spalle un fischio acuto. Mi giro e vedo arrivare il mio gommone, che avevo evidentemente sorpassato in immersione, si perché solo allora mi rendo conto di aver percorso praticamente un'intera rapida sott'acqua. Allungo la pagaia dal lato all'impugnatura (come mi avevano insegnato nel famoso briefing) alla guida che poi provvede a issarmi di nuovo sul malfermo natante. Neanche il tempo di riprendere il fiato mentre la guida ci fa notare un simpatico coccodrillo placidamente adagiato sulle rocce della gola e che a suo dire, è vegetariano; che la rapida successiva ci aspetta. E ne mancano ancora sei o sette. Maledizione!

Comunque, come avrete capito visto che state leggendo quanto sto scrivendo, sono sopravvissuto anche alle rapide successive. E' stata un'esperienza forte ma non la più pericolosa che si bossa fare alle cascate Vittoria. Quale è la più pericolosa vi starete chiedendo. Il bungi jump? Il flying fox? Il canoeing o il jet boating? Niente di tutto questo. L'attività più pericolosa che organizzano alla cascate e che sicuramente farò se mai tornerò da quelle parti è l'African Food and Cooking Tour.

Ci si siede comodamente si assaggiano le pietanze tipiche del posto e se si sopravvive alla degustazione di bruchi alla brace ed altre amenità del genere, si aspetta (magari sorseggiando dell'ottima Amarula) che le lunghe catene di carbonio, idrogeno ed ossigeno dei grassi saturi contenute nei piatti testé sbafati si depositino lungo qualche arteria, magari coronarica, riducendone pericolosamente il lume. Se non altro se proprio si deve morire in Africa, lo si fa a stomaco pieno!

martedì 26 luglio 2011

FABULA RASA


Indagini statistiche svolte a campione sulla vasta platea dei miei lettori, hanno evidenziato come più del 60% di loro sia munito di prole. Non avevo mai preso nella dovuta considerazione questo dato. Ho sempre scritto i miei post pensando ai miei lettori come a delle persone con più o meno la mia stessa età adolescenziale e non mi sono mai preoccupato del fatto che potessero avere dei figli. Ora non che voglia mettermi a scrivere, di punto in bianco, post per bambini... però potrei scrivere di qualcosa che potrebbe essere fruito anche da loro, magari col tramite dei loro genitori.

Ecco potrei scrivere una favola, per esempio!

Ma fa caldo, è estate, le vacanze sono ancora lontane, sono stanco e una favola inedita non ce la faccio proprio a scriverla ora. Però magari potrei riadattare e rendere più attuale qualche favola esistente. Una di quelle vecchie favole di una volta. Anche perché così, non dovrei nemmeno pagare i diritti d'autore a chicchessia.

Tra l'altro, ho sempre pensato che ci sia la necessità di attualizzare, in qualche modo, le favole “classiche”. Tutto cambia: la società, la morale, il senso del pudore e del ridicolo, la famiglia... Solo le favole rimangono sempre uguali a loro stesse, con il rischio di perdere inesorabilmente la loro funzione formativa.

Vediamo... potrei riadattare la favola dei tre porcellini. Perché no?

Beh l'inizio sarebbe lo stesso: ci sono tre fratelli porcellini che cacciati di casa perché ormai bamboccioni, si costruiscono ognuno una casa propria. Il primo, il più sfaticato, la fa di paglia. Ma arriva il lupo che di mestiere si mangia i maialini, e con un soffio potente fa crollare l'instabile casa. Allora il primo porcellino, senza più riparo, corre dal fratello mezzano che più previdente, si era costruito una casa di legno. Ma il lupo che evidentemente non soffriva di enfisema polmonare ma anzi era esperto di esercizi di iperventilazione, soffiò con ancora più forza e fece crollare l'abitazione lignea. A quel punto i due porcellini corsero dal fratello maggiore che, calvinista e massone, lavorando di gran lena si era costruito una casa di mattoni. Finalmente i tre porcellini si sentirono definitivamente al sicuro all'interno dell'involucro in laterizio, e cominciarono a dileggiare il lupo: “Siam tre piccoli porcellin siamo tre fratellin... mai nessuno ci prenderà trulla trullalà. Il più piccolo dei tre fa la cacca nel bidet.., ecc.”

Ecco: fin a qui è la favola che conosciamo tutti. Ora vediamo di attualizzarla un po'...

Il lupo capì subito che nonostante le sue doti polmonari decisamente al di sopra della media non ce l'avrebbe mai fatta a far crollare la casa di mattoni col suo soffio. Tra l'altro il porcellino maggiore doveva essere anche un ambientalista convinto, visto che la casa non era scaldata con il camino ma con una più efficiente pompa di calore elettrica. Ma nonostante l'impossibilità di entrare “classicamente” nella casa attraverso il camino, il lupo non si diede per vinto e dimostrando di avere un indice di cefalizzazione superiore, fece un esposto circostanziato ai vigili urbani.

Così quando i tre porcellini sentirono bussare alla porta, risposero: “Sei quel fetente del lupo vero? Tanto non ti facciamo entrare!”. Al che una voce che non era quella del lupo, rispose: “In realtà siamo i vigili urbani nelle vesti di pubblici ufficiali. Fossi in voi starei attento con le parole!”.

“ah” rispose il porcellino più grande, capendo sin da subito che quella giornata iniziata male sarebbe finita di merda... “che volete?”

“Ci mostra gentilmente il permesso di costruire relativo all'edificazione di questa abitazione?” chiese con fermezza il vigile più anziano. “Non ce l'ho” disse il porcellino con un filo di voce.

“Allora questo è un abuso edilizio: un reato penale. Seguiteci in pretura!”.

Il lupo che aveva assistito a tutta la scena rise sotto i baffi. Non aveva racimolato il pranzo agognato a base di braciole di maiale ma ci aveva guadagnato una casa ben costruita, termoautonoma e nuova di zecca. A questo punto il lupo che sapeva il fatto suo, non stette con le mano. Fece qualche telefonata e in men che non si dica si procurò un permesso di costruire falso, un certificato di agibilità falso anch'esso, l'iscrizione al catasto e l'atto di proprietà. E visto che c'era, illecito più illecito meno, commissionò ad una squadra di sette nani extracomunitari senza permesso di soggiorno la sopraelevazione abusiva di un paio di piani della casa, la chiusura di alcune verande, la realizzazione di un parcheggio interrato su tre piani fuori sagoma, più altre varie superfetazioni di facciata di entità minore.

Finiti che furono i lavori, il lupo decise di far fruttare il nuovo edificio di cui era ormai l'unico legittimo proprietario. E così inaugurò il primo centro di accoglienza del mondo delle favole per persone disagiate, chiaramente interamente sovvenzionato dal Comune.

I primi ospiti furono Hansel e Gretel, un commovente caso di abbandono da parte dei genitori. Non furono ospiti facili. Visto che prima tentarono di mangiarsi i tramezzi della loro stanza e poi bruciarono un'infermiera nella stufa. Ma la retta mensile che pagava il Comune coprì abbondantemente i costi per le opere murarie e per l'occultamento di cadavere.

Con Alice fu tutto più facile. Alice era una bambina che andata in gita scolastica ad Amsterdam vi si era trasferita in pianta stabile diventando una tossicodipendente allucinata. Vi rimase un paio di anni provando tutte le droghe e gli psicofarmaci che riusciva a rimediare, fino a quando fu espulsa dall'Olanda e affidata al centro. Ci vollero tre anni di metadone e altri quattro di analisi per liberarla da tutte le sue allucinazioni ma alla fine si riprese e uscì guarita dal centro.

Poi fu la volta di Cappuccetto Rosso che arrivò al centro in stato confusionale e in cinta di sette mesi. Non volle mai raccontare, neanche agli psicoterapeuti che la avevano in cura, cosa successe veramente in quella stanza a casa della nonna con il lupo, il cacciatore e la nonna stessa. Anche se il sospetto irsutismo del bambino che nacque e le cartoline che riceveva da parte della nonna, tutte provenienti dai più famosi luoghi di safari dell'Africa, lasciarono più di qualche sospetto su quello che avvenne veramente.

Poi ci furono Pollicino che fu abbandonato nel bosco e fu curato per anni per sindrome da disturbo post-traumatico e poi Biancaneve che si iscrisse al gruppo di sostegno per vittime di stalking e molestie sessuali e poi ancora Cenerentola vittima di mobbing e sfruttamento del lavoro minorile.

Insomma al centro di accoglienza il lavoro non mancò mai. Il lupo divenne così ricco che pasteggiava solo con manzo di Kobe che si faceva arrivare due volte a settimana direttamente in aereo dal Giappone: che lui la carne di maiale, a volerla dire tutta, non l'aveva mai digerita.

E i porcellini? Vi chiederete voi. Che fine avranno fatto? Beh senza casa, senza arte ne parte, senza istruzione e con poca voglia di lavorare, non poterono fare altro che buttarsi nella politica dove diventarono esponenti di spicco della PDL (Porcelli della Libertà).

I più maligni dicono che la loro vertiginosa ascesa politica fu aiutata dal fatto di aver portato le loro sorelle maiale a qualche festino alla casa brianzola del porcello premier... ma a noi ci piacciono le favole e non ci crediamo!

venerdì 10 giugno 2011

PARADOX


Chiacchiere da pub, qualche birra di troppo... viene fuori il discorso del motore a gatto imburrato...

Confesso che non ne avevo mai sentito parlare prima, lo trovo simpatico e penso che potrebbe essere un argomento divertente per un futuro post. Poi però tornato a casa, basta un breve giretto su internet per rendermi conto che non si tratta di un idea inedita, partorita dall'effetto dell'alcol sulla mente scientifica del mio compagno di bevute (che per inciso era mio fratello): diversi siti riportano il caso e addirittura wikipedia tratta dell'argomento.

Però magari voi non ne avete mai sentito parlare e trattandosi di materia quanto mai di attualità ho deciso, in veste di divulgatore, di presentarvi quello che è un arguto paradosso pseudo scientifico.

Il paradosso del gatto imburrato si basa sul combinato disposto di due leggi:

  • un gatto cade sempre sulle zampe;

  • un toast cade sempre dalla parte imburrata (una delle più famose declinazioni della legge di Murphy).

Orbene se si riesce a convincere un gatto a farsi legare un toast imburrato sulla schiena e lo si lascia cadere (il gatto) da una certa quota e se le due leggi sono vere entrambe (e vere lo sono come vedremo più avanti): allora il gatto non potrà atterrare né sulla schiena, perché così facendo contraddirebbe il fatto che il gatto cade sempre sulle zampe, né sulle zampe perché così facendo, entrerebbe in contraddizione palese con la legge di Murphy, né tanto meno su di un fianco in quanto così negherebbe entrambe le leggi. E cosa succede al gatto allora?

Qui la cosa si fa molto interessante. Secondo l'ipotesi più accreditata comincerebbe a ruotare su se stesso senza mai toccare terra, ma non si può del tutto escludere l'ipotesi che cominci a oscillare sul suo asse sotto la spinta delle due forze rotazionali contrapposte, sempre senza mai arrivare a toccare il suolo. E così in un colpo solo ci si troverebbe di fronte ad un moto perpetuo e ad un moto antigravitazionale concomitante. Roba da far tremare i polsi a Zichichi!

Certo non mancano dei punti interrogativi: quale sarà la velocità di rotazione o frequenza di oscillazione del gatto e a quale altezza da terra si fermerà la caduta del gatto. Studi più approfonditi in tal senso sarebbero auspicabili.

Comunque ai più svegli di voi non saranno passate inosservate le possibili conseguenze pratiche del fenomeno. Si potrebbe pensare, ad esempio, a delle scarpe con suola a gatto rotante che potrebbero sostituire gli ingombranti paracadute. Certo si tratterebbe di zatteroni, tipo le scarpe dei Cugini di Campagna, che male si presterebbero all'uso sul campo dei parà della Folgore...

Oppure si potrebbe pensare di applicare ad uno dei due orifizi in asse del gatto, l'albero di una dinamo o di un alternatore e produrre così energia elettrica. Con buona pace delle gattare ecco un motivo per votare, senza troppi rimpianti, “si” al prossimo referendum sul nucleare!

Certo so già quali potrebbero essere le obiezioni che i nuclearisti più convinti potrebbero sollevare sull'argomento. Quale sarebbe il bilancio energetico della dinamo a gatto rotante? Si perché studi scientifici più accurati hanno inequivocabilmente dimostrato che la legge secondo la quale un gatto cade sempre sulle zampe, tende a valere esclusivamente per un gatto vivo (gatti morti lasciati cadere da altezze diverse tendono a cadere indifferentemente sulla schiena o sulle zampe). In tal caso l'energia spesa per nutrire il gatto rotante (sorvolando sulle difficoltà di nutrire un gatto che ruota vorticosamente) e tenerlo in vita, che quota parte rappresenta rispetto all'energia totale prodotta? In altre parole un singolo gatto rotante quanta energia (kilogattora) potrebbe produrre? E ancora, quanti gatti occorrerebbero per produrre l'energia prodotta da un singolo reattore nucleare?

Prime stime approssimative indicherebbero in quasi cento ettari la superficie da ricoprire con una distesa di gatti rotanti e relativi micro alternatori, per generare una potenza di 800 MW (taglia di una centrale nucleare di media potenza). E poi ci sarebbe il problema dell'inquinamento. Pensate solo per un istante alla cacca prodotta da cento ettari di gatti...

Ma si tratta di una tecnologia ancora in embrione, certamente ancora da studiare, ma dalle promettenti aspettative.

E comunque meglio la cacca di gatto che è biodegradabile delle scorie radioattive!



PS

Non sarà passato inosservato che ho asserito in precedenza che le due leggi sono vere entrambe. Ed effettivamente lo sono, nell'esperienza “normale” che abbiamo con i fenomeni descritti dalle leggi stesse. Il gatto ha un organo vestibolare particolarmente sviluppato che gli conferisce un buon senso dell'equilibrio. Ciò spiega la sua particolare capacità di rigirarsi durante una caduta per atterrare sulle sue zampe, Anche se ciò non è sempre sufficiente a salvargli la vita. Personalmente so di un gatto di una mia amica che è sopravvissuto alla caduta dall'ottavo piano, praticamente illeso a parte qualche zampa fratturata. Sul toast imburrato: è vero, cade sempre con la parte imburrata verso terra. E non centra niente il fatto che la superficie imburrata pesi impercettibilmente di più della faccia opposta. E' che quando ci cade una fetta imburrata, ciò avviene perché ci scivola da un piatto o dalla mano o da un tavolo. E quando questo avviene succede qualcosa che ha poco a che vedere con la legge di Murphy ma molto di più con la legge di Newton. Siccome la fetta cade perché normalmente scivola da un bordo parallelo al pavimento (piatto, mano o tavolo che sia), nel cadere ruota. La prima legge di Newton ci dice che quando un oggetto compie un movimento, persiste nel farlo fintanto che non intervenga una causa esterna a fermarlo. Quindi il toast ruota fintanto che non incontra il pavimento ma durante il tragitto riesce a compiere solo mezza rotazione (poco più o poco meno).Ed è per questo che cade sempre sul lato imburrato. Se fossimo alti quattro metri, probabilmente il toast ce la farebbe a fare una rotazione completa e nel caso la legge ci direbbe l'esatto contrario.

Come sempre avviene nella fisica, le condizioni al contorno sono determinanti! In particolare la legge di Murphy, sul toast imburrato, vale si sempre ma solo nel caso di cadute per scivolamento che possono occorrere nelle normali movimentazioni che facciamo del toast.

Credo ahimè che dovremmo mettere una pietra sopra all'idea del motore a gatto imburrato. Ma non per questo votate a favore del nucleare!


domenica 5 giugno 2011

MEMORIES


Avrei dovuto scriverne qualche settimana fa, quando quanto sto per raccontarvi è successo. Perché trattasi di materia impalpabile ed evanescente: quella di cui sono fatti i sogni e i ricordi, difficile da fissare in una pagina scritta come lo è l'acqua che sfugge inesorabilmente dalle mani unite a coppa. Avrei dovuto se non fossi stato il pigro che sono. Ma solo ora trovo la voglia di riscrivere dopo tanto e forse troppo tempo.

Comunque quanto segue è quello che mi è successo un sabato mattina di qualche settimana fa e sopratutto le riflessioni che da quel fatto sono scaturite.

Dicevo, è sabato mattina, mi sveglio, guardo l'orologio: è ancora presto. Dormo un altro po'. E come spesso avviene la mattina, sogno. Sono in un posto imprecisato, che potrebbe essere la casa di mia nonna in Umbria. Dico potrebbe perché la casa del sogno e la casa reale non si assomigliano neanche un po' ma nonostante ciò ho la consapevolezza di essere proprio lì. Ma non divaghiamo, il posto non è importante. Stavo in questo posto che sentivo familiare e parlavo con una ragazza bionda, bella ma non bellissima. Una ragazza che non conoscevo ma con cui c'era una certa sintonia. Più parlavamo più il parlare era piacevole e spontaneo. Si passa velocemente dal parlare formale di due persone che non si conoscono ad un garbato flirtare. Poi nel sogno, io e questa ragazza ci rendiamo conto che in realtà ci conoscevamo già, che eravamo stati compagni di classe delle medie. Ma certo ora nel sogno mi ricordo perfettamente anche il suo nome. Il cognome non ce la faccio a ricordarlo ma sul nome non ho dubbi. Lei è più brava di me con la memoria e mi rammenta un paio di nomi di quelli che erano i suoi migliori amici delle medie. E nel sogno a quei nomi, quelle di una compagna e di un compagno di classe, associo dei volti che lentamente affiorano dal profondo dei ricordi. E con quelle facce in mente mi sveglio. Peccato perché il sogno stava per prendere una bella piega...

Ad una prima analisi dei fatti, da sveglio, mi accorgo che la memoria ha fatto qualche casino. Si perché in realtà la faccia della ragazza, l'amica del cuore della protagonista del mio sogno, era quella di una mia compagna di liceo e non delle medie. Mentre la faccia del ragazzo che ho associato al nome fatto nel sogno corrisponde effettivamente ad un mio compagno delle medie anche se poi mi rendo conto che il cognome reale è in realtà un altro rispetto a quello che è venuto fuori nel sogno.

Poi penso alla ragazza, protagonista del mio sogno: del nome sono sicuro e poi pian piano affiora anche il cognome. Dapprima mi vengono alla mente dei cognomi che assomigliano solo per assonanza a quello reale poi come in un flash quello vero. E insieme al cognome riaffiorano dalle profondità della mente altre caratteristiche di questa ragazza. Un po' come le bolle d'aria rilasciate da un erogatore che risalgono alla superficie di un liquido, dapprima lentamente poi man mano che si avvicinano alla superficie sempre più velocemente. Mi ricordo di pantaloni blu di velluto attillati a coste fine, di zoccoli neri e calzettoni a righe orizzontali multicolori. Che volete sono passati più di trenta anni, e la moda del tempo era quella che era... E poi un ricordo più significativo affiora in superficie: mi ricordo che aveva una gemella che però andava in una sezione diversa della stessa scuola.

E tutto questo ha semplicemente dell'incredibile. Si perché se solo il giorno prima qualcuno mi avesse chiesto di fare un elenco dei miei compagni delle medie, mai e poi mai sarei riuscito a tirare fuori il nome ed il volto della ragazza del sogno. E sopratutto se qualcuno mi avesse chiesto se una mia compagna di classe delle medie avesse avuto una gemella, sarei stato pronto negare con assoluta certezza questa evenienza.

Avrei dato per scontato che tali ricordi fossero morti per sempre e trovo incredibile non solo il constatare che non solo non erano morti affatto ma solo sepolti in profondità in qualche posto recondito della mente, ma che a richiamarli alla superficie della coscienza sia stata un'attività del tutto inconscia e apparentemente casuale come quella onirica. Comunque appena in piedi ho controllato la veridicità dei miei ricordi su quella che è diventata la memoria collettiva delle nostre relazioni sociali e cioè su facebook.

Mi sono collegato, ho messo nome e cognome nel campo di ricerca, ho sperato che la foto del profilo fosse tale e non come sempre più spesso accade quella di un gatto o il primo piano dell'occhio e... bingo. Eccola apparire sullo schermo: era indiscutibilmente lei. Quello che mi appare è il volto di una ragazza, dovrei dire donna, di 44-45 anni e io quel volto l'ho visto l'ultima volta quando di anni ne aveva 14 o 15. Mi rendo quindi conto che la mia mente aveva operato una sorta di morphing, di simulazione dell'invecchiamento del volto, basatosi sul ricordo che poteva avere del volto di una ragazzina delle medie. La cosa si fa interessante e avvalora quello che ho letto qua e la sui processi di riconoscimento dei volti e su come la mente umana generi il ricordo di una faccia. In poche parole la mente non immagazzina nella memoria l'immagine fotografica di ogni singolo volto che incontriamo nella vita ma delle caratteristiche tipiche di quel viso: forma, morfologia degli occhi e del naso, tipo di capelli, rapporti biometrici. Tra l'altro so che ognuna di queste caratteristiche interessa aree della corteccia cerebrale separate e solo quando si cerca di riportare alla mente il volto di una della persona si vanno a prendere questi tratti separati del viso e si rimettono insieme a formare l'immagine completa. Quello che manca la mente ce lo mette di suo in funzione dell'esperienza e delle aspettative. E devo dire che nel mio caso le mie aspettative hanno fatto un buon lavoro dato che la ragazza del sogno è decisamente più bella di quella che mi guarda fissa da facebook.

Ho letto che in termini di neurofisiologia i ricordi e la memoria in genere, corrispondono alla creazione di nuove sinapsi tra i neuroni di aree della corteccia. Ed in qualche modo l'utilizzo di queste le rafforza. In altri termini più queste nuove connessioni vengono utilizzate tanto più facilmente si riattiveranno le volte successive. Quando penso ad una persona si attivano tutti quei percorsi neuronali che sono legati alla rappresentazione del suo volto, ma anche al riconoscimento della sua voce o del suo profumo. La mente non funziona a camere stagne un aspetto coinvolge tutti gli altri. Fintanto che continuo a frequentare una persona i ricordi legati a lei si potenziano nella mia mente e la rete di neuroni del mio cervello che ha a che fare con lei si potenzia e cresce. Le connessioni aumentano di numero e diventano più stabili.

Quando invece non frequentiamo più una persona quelle connessioni diventano più difficilmente riattivabili. Possiamo pensare alle connessioni neuronali come a dei canali in cui scorre dell'acqua: fintanto che l'acqua ci scorre dentro i canali rimangono sgombri da detriti e con una sezione trasversale ben definita. Quando l'acqua non ci scorre più invece, tendono ad ostruirsi parte degli argini ci franano dentro, la traccia che ne rimane è flebile. Se poi come nel mio caso qualcosa mi stimola di nuovo un vecchio ricordo allora è come se dell'acqua cominciasse a scorrervi di nuovo, ma trovando dei percorsi parzialmente ostruiti, creasse dei nuovi percorsi: simili agli originali ma comunque diversi. O se preferite un paragone tessile, un ricordo può essere paragonato ad una trama di connessioni neuronali. Con il tempo, se non utilizzo più quel ricordo, di quella ricca trama originaria non rimangono che pochi fili. Nel riportare alla luce ricordi dimenticati il cervello ricrea i fili mancanti ma questi nuovi fili non saranno mai perfettamente uguali agli originali ma muteranno in funzione delle nuove esperienze fatte nel frattempo, delle aspettative, dei pregiudizi, ecc.

E' questo il motivo per cui i testimoni oculari sono spesso inattendibili: magari in buona fede ma inattendibili. In caso di processo è meglio avere delle prove oggettive (quelle che forniscono quelli di CSI per intenderci) da portare in tribunale che un testimone che può cadere in contraddizione.

A questo punto mi viene un'altra riflessione. Tutti noi dimentichiamo le cose. Dimenticare è un fatto positivo pensate se ricordaste esattamente il colore dei calzini che indossavate 45 giorni fa o quello che avete mangiato a cena il 4 settembre del 2003. Sarebbe un inutile dispendio di energie. In realtà esistono rari casi di persone che ricordano con precisione ogni evento che li riguardi ma sono casi patologici e la loro vita è un inferno.

Anche l'affievolirsi dei ricordi è di per se una cosa assolutamente positiva: le donne non farebbero più un secondo figlio se rimanesse indelebile nella loro mente il dolore del primo travaglio e pensate a quanto ci sarebbe più difficile perdonare per un torto subito.

Ma i i ricordi in quanto tali si cancellano in qualche modo oppure sono là da qualche parte del nostro cervello solo che non siamo più in grado di portarli in superficie?

Nel libro “ L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello” Oliver Sacks decrive il caso di una vecchia paziente che trattata con L-dopa, ricordava i testi delle canzoni dell'infanzia con una nitidezza impressionante, canzoni di cui non aveva perso il ricordo consapevole. Inoltre studi scientifici hanno dimostrato come la stimolazione elettrica della corteccia evochi alla mente ricordi vividi ormai creduti persi per sempre e l'intero flusso di coscienza legati a quei ricordi.

Da queste esperienze si potrebbe dedurre che tutti i ricordi rimangano da qualche parte nel nostro cervello ma dobbiamo rassegnarci al fatto di non poterli rievocare a meno che qualcuno di voi non voglia farsi conficcare degli elettrodi nel cervello. Io da parte mia passo, mi tiro fuori. Mi accontento di sognare di tanto in tanto.


PS Per pdb, con riferimento all'immagine: non è il mio cervello che fa acqua!

domenica 20 febbraio 2011

OBI-WAN ANOBII


Un po' di sere fa mio fratello, quello che fa lo scrittore (in realtà fa il ricercatore farmaceutico e scrive nel tempo libero anche se gli piacerebbe fare il contrario) mi ha fatto conoscere anobii.

E che cosa è anobii? La domanda è legittima. I più acculturati di voi sapranno che anobii deriva dal nome latino (anobium punctatum) del tarlo che, terrore di tutte le biblioteche del mondo, si ciba di carta e legno provocando la simpatica impallinatura, l'effetto dei suoi banchetti è infatti simile a quello provocato da un fucile caricato con cartucce a pallini, degli scaffali lignei e dei libri ivi contenuti.

Ora non è proprio che io e mio fratello non abbiamo abbiamo altro da fare la sera che parlare di tarli della carta; è che in realtà anobii è il nome di un sito internet riguardante i libri.

Tornato a casa ho scaricato l'application per il mio iphone, ho creato un mio account per accedere al sito e ho cominciato a giocherellare con le potenzialità che il sito offre.

Era tanto che un sito non mi sorprendeva così favorevolmente e siccome sono profondamente altruista, scrivo questo post per condividere le mie impressioni e quello che ho scoperto con tutti voi. Tra l'altro è una delle poche cose di internet che ho scoperto prima di Luca e questa cosa per me non ha prezzo... Ma queste sono cose personali. Non divaghiamo.

Dicevamo... cosa è anobii? Anobii si potrebbe definire come una sorta di social network per lettori di libri. Si può creare un proprio profilo proprio come su facebook e inserire i propri libri e di quelli già letti scrivere delle proprie valutazioni e/o recensioni. Posso rendere la mia libreria pubblica e condividerla così con tutti o solo con i miei amici. Tra l'altro il sito supporta piena connettività con il social network per eccellenza: facebook (fb). Così con pochi click posso conoscere quanti dei miei amici su fb utilizzano anobii e richiedere la loro amicizia, invitare amici su fb a iscriversi ad anobii, o pubblicare le mie recensioni su anobii anche sul mio profilo fb.

Per inserire i miei libri cartacei nella libreria virtuale di anobii, ci sono due strade. I più sfigati possono fare una ricerca sul potente motore di ricerca del sito digitando il titolo del libro che intendono inserire o meglio il suo codice ISBN (International Standard Book Number). La ricerca fatta con il codice ISBN è preferibile poiché tale codice permette di definire univocamente anche l'edizione qualora, come spesso accade, dello stesso libro siano state edite edizioni diverse anche a cura di case editrici differenti. Inseriti i dati del libro immediatamente appaiono sullo schermo tutte le informazioni relative insieme all'immagine della copertina e alle recensioni: sia quelle ufficiali a cura della casa editrice sia quelle che altri utenti di anobii che hanno letto lo stesso libro, hanno lasciato sul sito. Si perché una delle caratteristiche più interessanti di anobii è quella di poter giudicare con un voto (da 1 a 5) o più diffusamente con una recensione i libri che si sono letti. I più fortunati: i possessori come me di un iphone o in sottordine di uno smartphone che utilizzi android come sistema operativo possono invece, una volta scaricata l'application gratuita, utilizzare il proprio telefonino come lettore del codice a barre ISBN dei libri. L'utilizzo dell'applicazione è assai facile, si inquadra il codice a barre con la fotocamera del telefonino, un beep avvertirà dell'avvenuto riconoscimento del codice e in un tempo sorprendentemente veloce l'immagine della copertina e tutte le informazioni sul libro, recensioni comprese, appariranno per incanto sullo schermo del telefonino. Comunque, in un modo o nell'altro, una volta che si è trovato il libro che si cercava si potrà decidere se inserirlo nella propria libreria virtuale su web o nella lista dei desideri: libri che ancora non si possiedono ma si vorrebbe possedere. Una possibilità quest'ultima da non sottovalutare. Quante volte vi è capitato che un amico vi abbia consigliato un libro ma poi quando siete in libreria non vi ricordate il titolo e l'autore e il vostro amico risulta non raggiungibile al telefonino? Con anobii invece quando un amico vi mostra un libro consigliandovelo, voi in un attimo ne scannerizzate con il telefonino il codice a barre ISBN e lo inserite in un attimo nella vostra lista dei desideri.

Una volta inserito un libro si possono inserire facoltativamente una serie notevole di informazioni. In primis se il libro deve essere ancora letto o se è già stato letto (ma anche se è in lettura o se si è abbandonato; chi non ha abbandonato almeno una volta un libro in vita sua?). E poi una volta che il libro è stato inserito come letto si possono inserire i giudizi di cui abbiamo parlato prima, le date di inizio e fine lettura, dove si è preso il libro: se ci è stato prestato, se si è preso in biblioteca o se lo si è comprato e tutta una serie di notizie susseguenti (ad esempio in che città e in che negozio lo si è acquistato, ecc.) di cui non starò a dilungarmi oltre.

Per finire c'è la possibilità di gestire attività di scambio libri tra amici di anobii. Anche se so che per qualcuno i voi i libri non andrebbero prestati MAI, io che non sono dello stesso avviso e i libri li presto e anche volentieri (anche se solo ad una cerchia ristretta di amici di vecchia data), avrò così un modo di tenere memoria dei prestiti effettuati.

Ora molti di voi gongoleranno all'idea di poter creare con estrema semplicità un archivio informatico della propria libreria. Tra l'altro il sito offre la possibilità di esportare la propria libreria in formato .xls (excel) cosicché una volta che ho il mio bel foglio elettronico contenente tutti i miei libri posso facilmente aggiungere dei campi contenenti la posizione fisica del libro all'interno della libreria (quella fisica, non quella virtuale, questa volta): identificativo dello scaffale e numero progressivo all'interno dello scaffale per esempio. A me che in vita mia non ho mai collezionato niente, neanche i francobolli o le monete straniere da bambino, mi interessa invece più avere uno strumento che mi permetta quando sono in libreria ad acquistare libri, di sapere in tempo reale se quel romanzo di Camilleri ce l'ho già oppure no oppure che mi consenta di controllare la lista dei desideri e comprare così quello che avevo già intenzione di comprare ma che puntualmente mi era passato di mente.

Bene, questa era la marchetta. Veniamo ora a qualche precisazione e considerazione a più largo respiro. A meno che non possediate una libreria antica difficilmente il nemico dei vostri libri sarà l'anobium punctatum. Più facilmente l'animaletto che fa scempio dei vostri libri sarà il comune pesciolino d'argento: nome scientifico lepisma saccharina. Il simpatico animaletto prende infatti il nome dalla sua predilezione alimentare per la saccarina e i polisaccaridi in genere. E ahimè a base di polisaccaridi sono fatte le colle con cui sono rilegati i libri e rivestimenti delle copertine cartonate di alcuni di essi. I pesciolini d'argento con cui condivido casa hanno una passione smodata per le edizioni Sellerio di Camilleri ma non disdegnano le edizioni colore pastello di Adelphi...

Leggendo su questi insetti (perché io mi documento prima di scrivere i miei post!) ho appreso anche che la vita media di un pesciolino d'argento può raggiungere gli otto anni. Si, avete letto bene: otto anni. Non so a voi ma a me il sapere che ci sono in casa mia dei coinquilini da quasi più tempo che me, mi lascia basito. La prossima volta che ne schiaccerò uno con la scarpa ci penserò su almeno un secondo. Un'altra notizia interessante al loro riguardo è che si possono attirare in trappole che utilizzano come esca della patata grattugiata il cui amido è costituito infatti da polisaccaridi. Provare per credere...

Considerazioni si possono fare relativamente ai problemi di privacy legati ad un sito del genere. E' vero che l'utente può scegliere cosa rendere visibile agli altri utenti (io ad esempio l'opera completa del marchese De Sade l'ho tenuta riservata) ma sicuramente il sito potrà vendere le informazioni relative alla mia libreria, dove e come ho comprato i miei libri, quanto tempo ho impiegato a leggerli, quanto spendo per libri in un anno, ecc. in forma aggregata anonima a società che fanno ricerche di marketing. E fino a qui niente di male! Il problema è che dall'analisi della lista dei libri che ciascuno di noi possiede, si possono ricavare anche un sacco di informazioni personali. Per esempio per quello che mi riguarda, visto il numero elevato di libri che possiedo di Eco, Pennac, Starnone e Serra non ci vuole un genio della psicologia e del marketing per capire che ho il cassetto dell'armadio pieno di cachemire. O che se invece, sono uno che non ha mancato un solo libro di Vespa o di Forattini, sono facilmente un potenziale fruitore della sottile e acuta satira del Bagaglino o del Giornale o del TG4.

Quindi occhio a quello che immettete, consapevolmente o inconsapevolmente in rete.

Occhio però anche a non trarre conclusioni affrettate dalla lista dei libri di una persona. Potrebbero essere fuorvianti. Lo sapete che Berlusconi ha pubblicato (e non come Mondadori o Einaudi ma addirittura come Berlusconi Libri) il Capitale di Engels e Marx? E lo sapete che sempre Berlusconi ha pubblicato con la sua casa editrice omonima opere di Tommaso Moro e di Erasmo da Rotterdam? Anche se magari in questo ultimo caso avrà magari frainteso (“Avevo capito Orgasmo da Rotterdam, Cribbio!”). Così come potrebbe essere frutto di un suo fraintendimento il suo volere riempire sempre di “patata” le sue residenze. Sta solo cercando di proteggere i suoi libri cartonati che fanno da sfondo ai suoi discorsi alla nazione, dal temibile pesciolino d'oro, ma ha frainteso... Maliziosi!


PS Chi è Luca? Scorrete in fondo alla pagina e lo scoprirete.

sabato 29 gennaio 2011

W LA RAI


B: «È vergognoso, è incredibile che non abbiamo fatto entrare i nostri 60 ragazzi e abbiano rifiuttato un bravissimo avvocato come Francesco Paolo Sisto. Questa è una dittatura, bisognerebbe che gli italiani non pagassero più il canone perchè la maggior parte ha votato Silvio Berlusconi ed è costretta a non vedersi rappresentata dal servizio pubblico»....
.... e io oggi, ho pagato il canone RAI!

Disobbedire, disobbedire, disobbedire....

PS comunque il fatto di ascoltare Santoro tenere testa a Masi vale da solo il costo del canone.

credits

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Per il logo si ringrazia Lucaft qui ritratto in foto