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sabato 10 ottobre 2009

MOZAMBICO 2009 - Parte 5


10/08/2009 Mueda (Prima parte)


Siamo arrivati a Mueda ieri dopo otto ore di pullman attraverso strade che man mano che ci allontanavamo da Pemba erano sempre più disastrate. Siamo distrutti. Sembra essere passata una vita da quando ci siamo alzati ma sono solo le 14:00.

Mueda non sembra un granché: una strada principale con a fianco delle costruzioni che non spiccano certo per la loro bellezza. Siamo gli unici bianchi ma gli abitanti di Mueda (i Muedani?) non sembrano farci troppo caso.

Siamo qui in realtà per vedere l’etnia Makonde o forse Mapico (non ho capito bene la differenza sebbene Greta c’abbia provato più volte a spiegarmela). Dovete sapere che questi Makonde sono soprattutto famosi per le loro sculture di legno e di ebano e per le loro folcloristiche danze tribali. E quindi dopo otto ore di viaggio, il minimo che ci saremmo aspettati era di vedere cerimonie Makonde di benvenuto alla fermata dell’autobus mentre artigiani provetti ci mostravano il frutto della loro abilità scultoria…

Ma la realtà era ben più desolante: una strada polverosa quattro case sgarrupate e dei Makonde neanche l’ombra. Siamo stanchi e scoraggiati dalla desolante vista di Mueda per cui decidiamo, più o meno all’unanimità, di cercare sti cazzo di Makonde, vedere qualche danza, comprare qualche scultura e andarcene l’indomani mattina all’alba direzione las Quirimbas: di nuovo al mare.

Poi però da bravi turisti ci mettiamo più di un ora a scegliere la pensione dove soggiornare e la rimanente parte del pomeriggio per capire che i villaggi Makonde di cui parla la guida, con eccessiva enfasi per la verità, non sono altro che gli assembramenti di capannucce che costituiscono la periferia di Mueda.

A questo punto comincia a serpeggiare in noi la certezza che se vogliamo vedere i Makonde (che poi è l’unico motivo per cui ci siamo spinti fin quassù, prossimi al confine con la Tanzania) dobbiamo trascorrere un’altra giornata in questo ameno villaggio. Ma per avere la certezza che sia solo un’altra la giornata da trascorrere a Mueda e non un’ora di più, commettiamo un errore che in Africa non si dovrebbe mai commettere! Ci mostriamo interessati ai Makonde e chiediamo in giro di poter assistere a danze e lavorazioni artigianali!

Ora se anche i Makonde non fossero mai esistiti sulla faccia della terra ma fossero fossero reali quanto gli elfi silvani o i puffi , gli abitanti di Mueda ce li avrebbero comunque portati dinnanzi con tanto di sculture e danze per qualche migliaio di metical (il metical è la moneta mozambicana e un euro vale circa 38 meticals ).

Io sono di natura molto fatalista, anche troppo. Per me se una cosa deve accadere, in qualche maniera accadrà; se no, no. Mi inquietano le persone eccessivamente determinate per cui tutto può accadere, basta volerlo. Ma se c’è un posto dove la determinazione conta meno che niente: questo è l’Africa. Per cui sento che non saremo noi a trovare i Makonde ma loro a trovare noi. E i fatti successivi mi daranno ragione.

Comunque ritornando alla cronaca dei fatti, ci accordiamo con un tipo che ci dice che si impegna a parlare con un fantomatico capo villaggio Makonde che, ci assicura, ci organizzerà l’indomani, ma solo dopo le 14:00 perché prima i Makonde lavorano, una danza caratteristica e un assortimento del migliore artigianato locale. Certo il tutto ci costerà un discreto gruzzoletto di meticals ma almeno daremo un senso alla scampagnata.

E’ con questa speranza che andiamo a cena in quello che poi scopriremo essere il ristorante di una pensione che è il puttanaio locale. Ma, come direbbe Lucarelli, questa è una altra storia. “Da mangiare c’è la galinha” (cioè il pollo) ci dice una signora in carne e dal modo di fare sbrigativo, abbiamo fame e ne ordiniamo per sei. Presa l’ordinazione, la donna che oltre che cameriera è anche cuoca e tenutaria del lupanare, esce dal locale. Poco dopo sentiamo provenire da fuori inquietanti e sinistri versi lamentevoli di galline. Eh si, penso che la signora stia tirando il collo alla nostra cena… (TO BE CONTINUED)


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Per il logo si ringrazia Lucaft qui ritratto in foto