VIP

domenica 27 novembre 2011

NOTORIOUS


Mi è sempre piaciuta l'etimologia delle parole in particolare di quelle straniere. Scoprire delle origini comuni tra lingue diverse è un esercizio intellettuale che trovo al contempo stimolante ed intrigante e che mi fa sentire, in qualche maniera, meno provinciale e più cittadino del mondo. Ora non è che conosca poi tutte queste lingue: parlo l'inglese in maniera poco più che scolastica, riesco ad esprimere qualche concetto elementare in spagnolo, balbetto qualche parola in francese e so contare fino a dieci in swahili (per quel che può servire!); per cui il mio interesse etimologico per le parole straniere si limita quasi esclusivamente a quelle inglesi.
Da questo punto di vista comunque la lingua inglese si presta a considerazioni interessanti.
Tutti abbiamo imparato a scuola che l'inglese è una lingua di origine anglosassone e quindi appartenente al ceppo delle lingue di origine germanica (la Sassonia è infatti una regione della Germania). Meno enfasi comunemente si dà al fatto che il latino ha contribuito in maniera massiccia allo sviluppo dell'inglese così come lo conosciamo oggi. Infatti oltre il 50% delle parole del vocabolario inglese derivano da termini latini e molte delle stesse parole inglesi di origine germanica hanno un sinonimo di origine latina (basti pensare a freedom e liberty o a pig e pork ecc.). Trovare delle origini comuni alla nostra lingua nelle parole inglesi è una cosa che da una parte ci regala qualche piccola soddisfazione - soprattutto in questo periodo storico in cui la nostra lingua è terreno di conquista per i neologismi e i barbarismi inglesi, sentirsi i diretti discendenti di quegli antichi romani che esportarono il latino fino alla Britannia non può che farci inorgoglire, anche se ad onor del vero bisogna dire che solo una piccola parte dei vocaboli inglesi di origine latina furono introdotti al tempo dell'invasione delle legioni di Roma ma entrarono a far parte della lingua solo molti secoli dopo per mezzo del francese, lingua di origine latina, a seguito dell'invasione normanna e per il fatto che il francese per un certo periodo fu considerata come la lingua colta della nobiltà tanto da essere di utilizzo comune presso la corte d'Inghilterra - dall'altra ci facilita apparentemente l'eloquio anglofono. Dico apparentemente perché spesso sono proprio quelle parole inglesi che ci appaiono più familiari perché simili alle omologhe della nostra lingua, che nascondono insidie linguistiche subdole. Infatti se da una parte è vero che le nostre legioni portarono il loro bagaglio linguistico almeno fin al di qua del vallo di Adriano è altrettanto vero che le popolazioni locali non assorbirono nel tutto passivamente la dote di questi nuovi lemmi. Così qualche volta, oserei dire: anche fin troppo spesso, le parole inglesi di origine latina hanno sfumature di significato diverse rispetto alla corrispettive italiane cosicché si può facilmente incorrere facilmente nell'errore imperdonabile di utilizzare parole inappropriate. Senza allontanarci troppo dal vallo di Adriano di cui poco sopra, non sfuggirà, vista l'assonanza, che la parola inglese "wall" trova origine proprio dalla parola latina "vallum". Ora in latino il vallo era la fortificazione rappresentata dalle palizzate di legno che cingevano il castrum cioè l'accampamento delle legioni e che in senso più lato veniva riferita alle fortificazioni in genere: sia che esse fossero di legno, di pietra o di mattoni. E mentre in italiano la parola vallo ha mantenuto il significato originale latino, gli inglesi che di vallo ebbero come imponente modello quello in muratura di pietra di Adriano, estesero il concetto di vallo cioè di wall alle murature in genere perdendo così il significato originario più specifico di fortificazione.
Ma aggiungiamo un altro mattone al vallo (per dirla alla Roger Waters) del nostro discorso e facciamo un altro caso esemplificativo di quanto sopra esposto.
Prendiamo le parole inglesi "notorious" e "famous". Sono chiaramente entrambe di origine latina: la prima deriva da notus che è il participio perfetto del verbo noscere (variante del più frequente gnoscere); la seconda viene dall'aggettivo famosus. Ma mentre i corrispettivi in italiano: notorio e famoso, sono sinonimi; in inglese famous e notorious non sono del tutto equivalenti. Infatti sebbene entrambi significano "famoso" nel senso di conosciuto, hanno una sfumatura diversa. Il primo possiede un'accezione negativa e si riferisce a qualcosa o qualcuno noto per delle caratteristiche negative cosicché può farsi corrispondere all'italiano "famigerato" mentre il secondo si riferisce a chi ha fama intesa in senso positivo. Per cui se parlando ad un britannico nella sua lingua, vi riferite al Papa coll'aggettivo notorious non vi stupite se questi vi guarderà con stupore a meno che non sia un anglicano antipapista convinto.
Quindi ricordate se non volete fare gaffe, Napolitano è famous; Berlusconi invece è notorious, tristemente notorious...

sabato 19 novembre 2011

BISOGNA AVER PAURA DI CHI HA PAURA


Oggi sabato, come spesso mi accade, sono stato a pranzo dai miei. Sono le 13:30 passate da un po' e mentre attacco il piatto di ravioli ai carciofi cha mi ha preparato mia madre sento distrattamente le notizie che vengono sciorinate dal telegiornale in onda sulla tv lasciata accesa. All'inizio si parla inevitabilmente di Monti e di come il PDL pur garantendo il suo appoggio leale, non accetterà passivamente i diktat del nuovo governo con il ricatto, sempre dietro l'angolo, di staccare la spina. Ma non voglio che la voce fastidiosa di Cicchitto mi rovini il primo e mi concentro sui ravioli che sono davvero buoni. Poi però nell'attesa tra il primo ed il secondo la mente torna a concentrarsi sulle notizie provenienti dal tg. Le ascolto distrattamente soprappensiero mentre rispondo alle domande di mia madre. Ma poi mi accorgo che c'è qualcosa di strano: una striscia ininterrotta di notizie di cronaca nera. Benzinai rapinati ed uccisi, gioiellieri bastonati, ville depredate da bande di violenti albanesi. Ecco che c'è di strano: è il tg1 della Rai! Non so perché ma i miei guardano quasi esclusivamente Rai 1 e quindi anche il relativo tg. Io invece seguo quasi sempre il tg di Mentana su La7 e lì di spazio alla cronaca nera non se ne dà molto. Mi ricordo che ieri sera aveva riportato anche lui la notizia della rapina conclusasi tragicamente con l'omicidio del benzinaio avvenuta a Thiene vicino Vicenza ma l'aveva fatto con la dovuta sobrietà e stringatezza: pochi secondi in tutto, come ritengo giusto che sia. Capiamoci, la notizia in sé è terribile. Essere uccisi mentre si lavora, per poche centinaia di euro, rappresenta qualcosa che lascia sgomenti. Ma fare un sevizio di alcuni minuti in cui si ritraggono i luoghi del delitto o si intervistano magari i parenti della vittima non aggiunge nulla alla notizia in sé ma rappresenta solo un accondiscendere agli aspetti più morbosi e voyeuristici del telespettatore medio. Ma d'altronde siamo sulla rete di Vespa e non è lecito aspettarsi molto di meglio.
Comunque la cosa al momento finisce lì, poi però torno a casa e mi documento, si perché questo dopo tutto è un blog di servizio. Così riguardo sul sito web della Rai l'edizione del tg e prendo qualche appunto.
Notizie politiche: sette minuti (si capisce non c'è più Berlusconi!), poi cinque minuti in cui sono riportate con dovizia di particolari: l'omicidio a scopo di rapina del povero benzinaio di Thiene; a corollario di questa notizia un servizio sulle rapine ai benzinai (vengono intervistati due benzinai di Roma mentre campeggia la scritta "lavoriamo nel terrore" e con la giornalista che incalza "la criminalità osa sempre di più"; poi la notizia della gioielliera bastonata a Novara per rapina e poi ancora la banda di albanesi che terrorizzava le ville isolate del perugino con anche Serse Cosmi tra le vittime.
Ora ne ho la certezza Berlusconi, come d'altronde aveva già annunciato, ha riaperto la campagna elettorale.
La strategia non è nuova: grazie al Minzolini di turno, minimizzare ciò che potrà fare di buono chi lo sta sostituendo e cioè Monti salvo poi amplificare i suoi eventuali quanto auspicabili passi falsi e nel contempo creare un clima di paura e di sgomento nell'elettorato così da presentarsi al momento opportuno come unico possibile salvatore della Patria.
Attenzione perché il governo che è appena caduto è nato e ha prosperato sulla paura e sul ricatto sottostante la paura. Paura del nemico di turno che viene demonizzato. Avversari politici offesi anche a livello personale; giornalisti e magistrati visti quali attentatori della privacy di ognuno e considerati come antropologicamente diversi. Paura del diverso e dello straniero, paura del domani, dei giovani visti come possibili sovversivi dell'ordine costituito, di chi protesta che viene sempre visto come un facinoroso, di chi la pensa diversamente che viene trattato alla stregua di un appestato, di chi detiene la cultura che viene visto come un debosciato mangia pane a ufo.
Non bisogna avere paura di Berlusconi che alla fin fine è un ometto buffo e anziano con seri problemi psicologici riguardo alla percezione di sé e all'accettazione di sé, quanto di chi ha avvallato e reso possibile il berlusconismo.
Bisogna avere paura di chi ha paura.

venerdì 11 novembre 2011

Un caso di coscienza


Mi rivolgo questa volta ai miei amici blogger o a quanti tra i miei lettori scrivono a vario titolo per lavoro o per diletto.
Immagino che sarà capitato anche a voi nel leggere romanzi, articoli giornalistici, saggi o post su internet, di esservi imbattuti in quelle pagine che riportano nero su bianco ma scritte da altri, riflessioni e considerazioni che riconoscete in qualche modo, subito come vostre. Trovate cioè riportate da qualcun altro cose che avreste voluto scrivere da tempo ma non avete avuto il tempo o la voglia di fare prima. Maledetta pigrizia!
Certo, magari quello che avreste aver voluto scrivere, lo trovate scritto meglio di quanto voi avreste potuto mai fare, perché bisogna dirlo: alla fine di autori più bravi od arguti di noi in giro se ne trovano, per fortuna, sempre. Battuti sul tempo e col rammarico di non essere stati più solerti e costruttivi; cosa fare in questo caso?
Fare finta di niente è sicuramente il primo impulso, anche il più comodo. Con un po' di fortuna chi vi legge non condivide le vostre stesse letture e i vostri scritti potranno passare per originali senza il rischio di poter essere tacciati di plagio. D'altronde di cose originali da dire ce ne sono ormai poche e questo non può essere un alibi per l'astenersi dallo scrivere con continuità.
Devo dire che a meno che l'intento dello scritto non sia meramente divulgativo, per cui è pacifico che l'argomento di cui si scrive non sia farina del proprio sacco; mi trovo sempre un po' in imbarazzo a non detenere l'assoluta originalità di ciò di cui scrivo. Ma l'imbarazzo è solo iniziale, il tempo di scrivere i primi periodi e poi l'estro creativo ha il sopravvento su eventuali remore moralistiche.
Forse in questi casi sarebbe però onesto citare la fonte, anche se non direttamente. Basterebbe scrivere en passant "come ha già scritto Tizio" o "come pensa di fare Caio", a mo' di citazione, per mettere a tacere la coscienza, sempre per chi ne abbia una.
Io personalmente tendo a tralasciare qualsiasi forma di citazione laddove l'autore seppur più solerte di quanto non lo sia stato io, non è ritenuto da me degno di nota. Mentre trovo sia giusto riportare la paternità della citazione qualora nell'autore ripongo stima ed ammirazione.
Tutto questo pippone nasce dal fatto che nel leggere "Infinite Jest" di David Foster Wallace un romanzo folle di oltre 1200 pagine di cui oltre 100 di sole note, mi sono imbattuto in alcune interessanti considerazioni che l'autore fa sul fallimento della videotelefonia rispetto alla telefonia tradizionale (solo voce). Con quello che scrive il compianto autore americano riguardo alle video chiamate, non solo mi sono trovato perfettamente concorde ma sono anche sicuro di aver espresso quegli stessi concetti a voce a Luca (mio mentore per tutto quello che riguarda la tecnologia ma non solo) in tempi non sospetti: quando cioè di Infinite Jest non avevo letto neanche una pagina. Leggere quei concetti che in qualche modo erano anche miei, superbamente espressi con ironia e arguzia da DFW nel suo romanzo, mi ha fatto venire la voglia di scrivere un post sull'argomento. Ma poi mi sono chiesto con quale coraggio riscrivere ciò che era stato tanto brillantemente già scritto. E' anche vero però, ho pensato, che non certo molti dei miei seppur acculturati lettori, avranno affrontato la titanica impresa rappresentata dalla lettura di Infinite Jest. Quindi penso che quel post, alla fine, lo scriverò riconoscendo apertamente però a DFW, l'originale paternità di certi concetti, nella speranza di instillare in chi magari non lo conosce la curiosità nei suoi confronti. Una specie di do ut des, io mi approprio delle sue riflessioni senza stare a recriminare sul fatto che comunque ero arrivato alle stesse conclusioni in piena autonomia e in compenso faccio opera di proselitismo.
Nel frattempo mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
A presto.

martedì 1 novembre 2011

It's all about the safety!


Allora ci provo pure io! Questo che state per leggere sarà il mio primo post scritto con un iPad (utilizzando pages, ovviamente e non potrebbe essere altrimenti)! Le prime sensazioni sono decisamente positive. Ho deciso di scrivere con l'iPad tenuto in posizione orizzontale così da avere a disposizione una tastiera più estesa e decisamente più comoda. La digitazione risulta precisa e spedita, anche se spedita è un parolone vista la mia scarsa propensione verso la dattilografia. Grazie Steve! Ora il problema, non di poco conto, è trovare qualcosa di interessante da scrivere.

So che è trascorso colpevolmente tanto, troppo tempo e che ormai l'estate e le relative vacanze sono solo un ricordo lontano, proiettati come siamo verso le prossime festività invernali e con le pubblicità di pandori e panettoni ormai alle porte. Ma quello che mi è accaduto quest'estate in Zambia vale la pena di essere raccontato comunque.
"It's all about the safety" è una frase che nell'Africa nera - o meglio in quei paesi dell'Africa nera dove si parla l'inglese e dove la presenza di turisti bianchi è numericamente significativa - viene ripetuta con assidua quanto sospetta frequenza dalle guide del posto agli ansiosi turisti europei o nord americani o sud africani, che siano. E' una frase che si sente ripetuta come un mantra ogni qualvolta si prenota un game drive (le escursioni in fuoristrada all'interno dei parchi per osservare gli animali selvatici nel loro habitat naturale) o si accede ad un campo tendato all'interno di una riserva naturale.
Io personalmente l'ho sentita ripetere decine di volte in giro per l'Africa: in Uganda come in Congo, in Tanzania come in Malawi, senza prestarci peraltro mai troppa attenzione. Solo quest'estate dopo l'attacco dell'elefante occorsoci nel parco del Kafue in Zambia ho capito cosa effettivamente c'è dietro questa frase. Si perché in Zambia il possente fuoristrada nipponico con il quale al tramonto stavamo facendo l'ennesimo game drive di una vacanza tutta all'insegna dei safari, accompagnati non da una ma da ben due guide del parco - perché chiaramente It's all about the safety -, è stato caricato senza tanti convenevoli da un elefantessa incazzata.
Ma andiamo per ordine. Siamo entrati nell'ultima parte di questa vacanza africana che ci ha portato a zonzo per il Botswana prima ed per lo Zambia poi; ancora qualche giorno e si riprende la via di casa, concedendoci prima di salire sull'aereo un paio di giorni alle cascate Vittoria che ci regaleranno le ultime forti emozioni di cui al post precedente.
Siamo da più di un'ora in macchina, il sole sta tramontando e quella che è la frescura del tramonto va trasformandosi in un freddo sempre più pungente e fastidioso; ma di Animali neanche l'ombra! Cioè qualche animale l'abbiamo visto: qualche impala e qualche kudu ma per chi, come noi, è reduce da dieci giorni di safari gli Animali, quelli con la a maiuscola, sono solo i big five.
Siamo annoiati e infreddoliti e non vediamo l'ora di rientrare al campo per la cena. Quando all'improvviso quello che non ti aspetti più: al lato della strada sterrata appena fuori della boscaglia a non più di qualche centinaio di metri da noi un gruppo di elefanti. La guida li vede all'ultimo, quando ormai sono al nostro lato, perché la boscaglia li schermava alla nostra vista e la luce del crepuscolo non facilitava certo l'avvistamento. Frena bruscamente, innesta la retromarcia si mette di lato al gruppo di pachidermi e spegne il motore. Non sono tantissimi: qualche femmina e tra loro dei piccoli. Gli elefanti hanno osservato con attenzione la nostra manovra un po' brusca e la matriarca del gruppo ci mostra tutto il suo disappunto aprendo le orecchie ai lati del testone e barrendo alzando la proboscide - il suo modo di dirci che non siamo i benvenuti - Ma è ancora lontana e non la avvertiamo come una minaccia da prendere in considerazione. A questo punto l'elefantessa che deve aver interpretato la nostra imperturbabile permanenza alla sua manifestazione di ostilità come un gesto di lesa maestà, corre verso di noi a testa bassa per una cinquantina di metri poi si ferma e ci ripete le sue rimostranze barrendo e allargando le orecchie. Ripete questa cosa di correrci contro e poi barrire un paio di volte. A questo punto non c'era bisogno di essere Danilo Mainardi per capire che era giunta l'ora di togliere le tende e anche piuttosto velocemente. Ma le nostre guide evidentemente non dovevano essere dei cultori di Superquark, perché non ci pensano proprio a rimettere in moto la jeep ma si limitano a raccomandarci di rimanere in silenzio perché gli elefanti, si sa, sono parecchio suscettibili ai rumori. L'elefantessa rimane un po' perplessa - ma come non se ne vanno? deve aver pensato - poi rompe gli indugi e parte per quella che è stata la carica finale. A questo punto quando cioè un discreto esemplare di Loxodonta Africana con una massa che presumibilmente si aggirava sui 4.000 kg e una velocità di circa 40 km/h (per gli amanti della fisica con un'energia cinetica di oltre 200 kJ) ci correva allegramente contro, anche le nostre serafiche guide decidono che è meglio telare. Ma la jeep non ne vuol sapere di mettersi in moto come d'altronde era già successo alla partenza - ma it's all about the safety - ed è solo con l'aiuto di quei 200 kJ, di cui parlavo prima, che impulsivamente colpiscono la parte posteriore del fuoristrada che quest'ultima si degna di partire. Nel tempo occorrente alla jeep per acquistare la velocità di crociera l'elefantessa ha il tempo di ricolpirci il posteriore un altro paio di volte. Poi riusciamo a mettere una distanza di una ventina di metri tra noi ed il pachiderma e ci dileguiamo alla massima velocità che la strada ed il mezzo ci consentono.
Stranamente di tutto quanto quello che è successo ho un ricordo adrenalinico ma non di puro terrore come forse sarebbe più giusto aspettarsi da una persona equilibrata quale penso di essere. Di tutta quella vicenda il ricordo più forte non è legato all'attacco in se ma al senso di impotenza, quello si angoscioso, provato quando per oltre duecento metri l'elefante ci ha inseguito senza che noi, lanciati a tutta velocità, riuscissimo a guadagnare terreno su di lei. Ecco il protrarsi di quell'inseguimento con la consapevolezza che il pericolo non poteva dirsi scampato perché il simpatico pachiderma ci seguiva dappresso senza perdere terreno, quello si che è stata un'esperienza forte. Seconda solo alla sensazione di progressiva necrosi della muscolatura del mio avambraccio destro perché per tutto il tempo dell'attacco, Daniela che mi sedeva accanto, mi ha stretto il braccio, in preda ad un terrore folle, con una forza inusitata per la sua corporatura esile.
Comunque tutto è bene quello che finisce bene. Alla fine l'elefantessa ha desistito dai suoi intenti bellicosi e così quando ci siamo portati a una distanza di sicurezza ci siamo fermati per valutare i danni riportati dal mezzo. I 200 kJ avevano causato un parziale rimodellazione della carrozzeria posteriore e tranciatura di un montante. Evidente niente di troppo importante visto che le nostre guide ne ridevano a crepapelle - chissà che tipo di assicurazione hanno da quelle parti? - Ma anche la bastarda, l'elefantessa intendo, aveva riportato i suoi danni odontoiatrici, visto che frammenti di zanna erano rimasti conficcati in più punti della carrozzeria.
Poi siccome in Africa le cose sono sempre imprevedibili c'ė stato un supplemento di avventura ma questo magari ve lo racconto la prossima volta che per questa volta mi sono dilungato anche troppo.
See you soon.


credits

credits
Per il logo si ringrazia Lucaft qui ritratto in foto