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lunedì 19 luglio 2010

Campioni d'Africa


Una settimana fa esatta, il campionato del mondo di calcio si è concluso con la finale di Johannesburg tra Spagna e Olanda. La Spagna ha vinto, l’Olanda ha perso, tutti i commenti sono stati fatti, le polemiche varie si sono ormai sopite e i festeggiamenti si sono spenti anche in Spagna, almeno presumo.
Bene, lo so di non essere, giornalisticamente parlando, proprio sul pezzo, ma che volete… fa caldo e sono più pigro del solito! E ora e solo ora mi sento di poter trarre qualche brillante conclusione personale sull’evento sportivo appena terminato. E credo di avere anche i titoli per farlo legittimamente perché io in Africa a pallone ci ho giocato davvero e prima di Cannavaro e compagnia bella, guardate come prova la foto sopra. Eh si quello in primo piano riconoscibile per la carnagione più pallida e la plasticità dei movimenti sono proprio io!
Innanzitutto due considerazioni sulla finale. E’ stata una tra le partite più brutte di tutti i mondiali. Il gioco completamente annullato dagli eccessivi tatticismi messi in atto dalle due squadre europee bloccate dalla paura di perdere. Pressing portato a tutto campo, difese alte e tattica del fuorigioco: si è finito per giocare in trenta, quaranta metri quando il campo è lungo più di cento. Il risultato di avere venti giocatori ammassati in così poco spazio è stato che un giocatore appena riceveva palla non aveva neanche il tempo di stoppare il pallone che veniva subito pressato da almeno due giocatori avversari pronti a randellarlo se non si sbarazzava più che in fretta del pallone.
Immagino che se la partita non è piaciuta a me che sono europeo e quindi abituato all’esasperazione della tattica tipica del calcio moderno, tanto meno sarà piaciuta allo spettatore africano medio. Si perché per gli africani il calcio è soprattutto un gioco, un gioco divertente, prima ancora che uno sport. Per loro il risultato non è tutto. La massima soddisfazione la traggono dalla giocata ad effetto, dalla corsa instancabile, dal dribbling esagerato. Non è un caso che, almeno nella parte di Africa che ho visitato, il campionato di calcio più seguito attraverso i canali satellitari sia quello inglese: certamente il più spettacolare tra quelli europei.
A questo proposito vi racconto un simpatico aneddoto. Eravamo in Tanzania, in un piccolo villaggio ai margini del Serengeti, qualche anno fa. Passeggiando per la strada principale ci fermiamo ad osservare una masnada di bambini giocare con un pallone fatto di buste di plastica tenute insieme da elastici e corde. Da lì a metterci a giocare anche noi con loro è stato un attimo. Siamo andati a prendere il nostro bel pallone di cuoio e ci siamo divisi in due squadre. Squadre miste: bambini africani insieme a più attempati e imbolsiti muzungu (che in lingua swahili significa "uomo bianco"). Mi ricordo che giocavamo al lato della strada principale su uno strato soffice di pula proveniente dalla battitura forse del miglio. Mi ricordo la felicità di quei bambini nel poter giocare con un pallone vero. Mi ricordo la fierezza di quei bimbi nel giocare con degli adulti, europei come i loro idoli televisivi. Mi ricordo che erano bravi e che ci siamo divertiti tanto. Mi ricordo che non c’era modo di far rispettare dei ruoli prefissati a quei bimbi: difensori, attaccanti o centrocampisti, quando prendevano palla cercavano di dribblare tutti e segnare. Mi ricordo che in capo a venti minuti dall’inizio di quella improvvisata partita di calcio l’intera popolazione adulta del villaggio aveva lasciato le proprie occupazioni, senza grossi rimpianti immagino, per assistere e tifare alla partita. Mi ricordo in particolare di un bambino un po’ più piccolo degli altri a cui piaceva segnare e che tirava sempre in porta: nella propria o in quella avversaria non faceva differenza: l’importante era fare gol.
Ricordo che a fine partita, da meschini italiani, pensammo “bravi a pallone questi africani ma non vinceranno mai un mondiale!”. In realtà le squadre africane ci proveranno a vincere un mondiale e per fare questo già da adesso si affidano a tecnici europei che cercano di inquadrarli in schemi e tattiche rigide.
Ma ne varrà la pena? Varrà la pena snaturare così radicalmente quello che alla fin fine è e dovrebbe essere un gioco. Varrà la pena per vincere un mondiale giocare delle partite così brutte e noiose come quelle che abbiamo visto giocare in Sud Africa?
L’altra considerazione riguardo al calcio in Africa, riguarda i mezzi. Mi ricordo che l’hanno scorso attraversando Johannesburg ho visto lo stadio da fuori. Bellissimo. Ma per l’Africa rappresenta un eccezione così come il ricco Sud Africa rappresenta una eccezione nei confronti degli altri stati dell’Africa nera e così come il jabulani (il pallone leggerissimo e tecnologico dei mondiali africani) rappresenta l’eccezione nei confronti dei palloni fatti con le buste di plastica e con gli elastici con cui giocano la stragrande maggioranza dei bambini africani.
A questo proposito un altro aneddoto, non vi preoccupate:è l’ultimo. L’estate scorsa in Mozambico, eravamo ad Ibo l’isola principale dell’arcipelago delle Quirimbas. Nella piazzetta principale del villaggio, adolescenti africani giocavano a calcio con il solito pallone di fortuna. In questo caso c’era anche una porta: tre pali malmessi dalla precaria staticità. Passando rimaniamo colpiti d’abilità di un giocatore nel riuscire a tirare sistematicamente il pallone sotto il sette della porta. Poi un tiro impreciso fa rotolare il pallone verso di noi. E uno di noi orgoglioso della propria italianità, l’anno scorso ci potevamo ancora fregiare a buon diritto del titolo di campioni del mondo, calcia la palla per rimandarla verso i giocatori del posto.
Calcia in bello stile ma il pallone rotola solo per pochi metri. Il mio amico si prende il piede tra le mani e reprime con fermo stoicismo un fantozziano urlo di dolore. Non era sicuramente uno jabulani, il pallone calciato, ma un pesantissimo ammasso di buste e foglie. Rimane un mistero irrisolto della fisica come faceva ad essere piazzato sotto la traversa dall’esile giocatore di Ibo.
Beh mi sono dilungato anche troppo e le conclusioni e la morale di queste storie le lascio a voi.
Non vorrete che faccia tutto io….

PS Ringrazio Sara per avermi messo a disposizione la bella foto. Dubito però che l’abbia scattata lei…

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Per il logo si ringrazia Lucaft qui ritratto in foto