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mercoledì 28 ottobre 2009

MOZAMBICO 2009 - Parte 7


11/08/2009 da Mueda a Quissanga (parte prima)


Alla mattina di buon ora prendiamo l’autobus per Quissanga. Gli autobus partono, chissà poi perché, la mattina molto presto o, a mio modo di vedere, la notte molto tardi. Il nostro in particolare parte alle 5:00.

C’è un buio pesto e fa un freddo cane (e non è un modo di dire: batto i denti dal freddo, meno male che siamo in Africa!). Nella strada principale si susseguono i bus verso tutte le direzioni. Nel nord del Mozambico c’è una linea di autobus “ufficiale” che si chiama Macula. E’ costituita da autobus grandi: dei vecchi Volvo, probabilmente dismessi decenni fa da qualche compagnia di trasporti europea. Generalmente gli autobus della Macula sono efficienti, il costo del biglietto è fissato in tariffari ufficiali e non va concordato volta per volta, partono con puntualità e arrivano a Dio piacendo a destinazione con ritardi contenuti. Ed è forse per tutte queste ragioni che i Mozambicani gli preferiscono gli autobus appartenenti alle più colorite linee non ufficiali.

Sembra un controsenso ma è così. Negli autobus “non ufficiali” e più ancora nei cochibombo e nei chapas, i locali possono infatti contrattare sul prezzo, possono portare carichi ingombranti senza dover pagare un sovrapprezzo come avviene nel caso dei mezzi della Macula e soprattutto possono chiedere di scendere dove vogliono e non solo nelle fermate prefissate. Alla fine sui pullman della Macula si riesce a viaggiare seduti su posti numerati e personali e normalmente non accalcati come sardine tra galline, caprette e merci varie tra cui il temutissimo e maleodorante sacco di pesce secco.

E per tutte queste ragioni noi avevamo pianificato di prendere l’autobus di linea della Macula. Ma poi però un cochibombo passa prima: alle 4:30 invece che alle 5:00 come previsto per il Macula, e così vuoi un po’ per il freddo vuoi un po’ per la fretta di partire, lo prendiamo nella speranza di arrivare prima a destinazione. Quando saliamo, l’autobus è semivuoto e ci stendiamo nei sedili con la speranza di prolungare quel sonno che abbiamo bruscamente interrotto solo pochi minuti prima.

In Africa però un autobus difficilmente parte se non è pieno e anche questo non viene meno ahimè alla regola. E così ci troviamo a fare avanti indietro per Mueda in buio nero come la pece a raccattare quanti più passeggeri possibile.

Alla fine lasciamo Mueda che sono quasi le 5:00 ma con l’autobus pieno all’inverosimile. Ma abbiamo ancora una decina di minuti di anticipo su quello della Macula… Poi però dopo neanche un’ora il nostro mezzo si rompe: un problema ai freni, credo. E mentre il nostro autista, impovvisatosi meccanico, è indaffarato nel tentativo di riparare il guasto; vediamo il bus della Macula sopravanzarci e fermarsi subito davanti al nostro catorcio in panne, per vedere se abbiamo bisogno di aiuto.

L’idea di abbandonare il nostro cochibombo al suo triste destino e trasferirci armi e bagagli al più comodo Macula ci alletta alquanto. Ma il nostro perfido autista deve averci letto nel pensiero e temendo che noi, magari seguiti da altri passeggeri, possiamo richiedergli il rimborso del biglietto, caccia a malo modo il Macula rassicurandoci però sulla riparabilità del suo mezzo.

Ed è così siamo in panne lungo una strada desolata dove il passaggio di un mezzo a motore è un evento raro quanto insolito. Le probabilità che passi un altro mezzo che possa caricarci è ridotta al lumicino e tutte le nostre speranze sono riposte nel nostro autista/meccanico che a vederlo armeggiare perplesso presso la ruota non è che dia proprio il massimo dell’affidamento.

Siamo avviliti, affamati e assonnati. Non si vede una via di uscita dalla situazione in cui ci troviamo nostro malgrado. Tra l’altro ad aumentare il nostro scoramento c’è il fatto che il nostro autista ha abbandonato la sua postazione presso la ruota e si è allontanato inoltrandosi nella boscaglia che circonda la strada.

Poi però dopo poco ritorna con in mano un ramo flessuoso e con l’ausilio di questo piccolo pezzo di legno compie l’impossibile: ripara i freni, almeno è quello che speriamo, neanche fosse un meccanico della Ferrari.

Ed è così ripartiamo e lungo la strada risorpassiamo il Macula fermo a sua volta in panne sul bordo della strada. Il sorpasso è accompagnato da un boato da stadio da parte di tutti i passeggeri esultanti, noi per primi.

La nostra scelta si è alla fine rivelata vincente!


giovedì 15 ottobre 2009

MOZAMBICO 2009 - Parte 6


10/08/2009 Mueda (Seconda ed ultima parte)


Eh si doveva essere andata proprio come dicevo nel post precedente. Lo starnazzare che avevamo sentito venire da fuori proveniva proprio dalla nostra cena che infatti ci è stata servita non prima di un’ora e mezza da quando avevamo decretato la condanna a morte delle galinhe, da quando cioè, in altri termini, avevamo ordinato pollo per cena. Comunque mors tua vita mea: le galinhe, con tanto di patate fritte, erano ottime e certamente quanto meno freschissime.

Il giorno dopo, svegliandoci di buon ora, lasciamo la nostra lussuosa pensione senza acqua corrente e senza elettricità (come d’altronde però tutto il resto della ridente cittadina) per fare un giretto del posto.

Come spesso accade le cose più belle ci si presentano dinnanzi non richieste. Visitando i dintorni di Mueda ci accorgiamo infatti che la periferia è più bella e caratteristica del centro. Tra l’altro anche dal punto di vista paesaggistico non è poi così male… Avvicinandoci al limite occidentale del villaggio ci si può accorgere del fatto che Mueda sorge su un’altura che un burrone divide dalla valle sottostante. Il colpo d’occhio è da mozzare il fiato. Niente a che vedere con le impressioni pessime del giorno prima.

Stiamo per tornare verso la pensione per cercare qualcosa da mangiare per colazione quando veniamo incuriositi dal ritmico suonare di alcuni bonghi e tamburi, proveniente dall’estremità della strada principale. E qui sotto alberi dalle ombrose fronde, donne Makonde tatuate sul viso ballano le loro danze tradizionali vestite in abiti variopinti. Alcune indossavano maschere di legno che le coprivano completamente la faccia.

La cosa va avanti per tutta la mattinata e per di più gratis. Veniamo a sapere che a Mueda è festa perché ricorre l’anniversario del massacro omonimo. E questo spiega il fatto che tutte le scuole di danza tradizionale si sono date appuntamento sulla strada principale. Alla faccia di quanti volevano farci pagare per mostrarcele!

Non sono un appassionato di danza ne tanto meno so ballare (una volta il portiere di casa dei miei vedendomi ballare un liscio mi disse che potevo ballare anche la sigla del telegiornale e non credo che fosse un complimento!) ma devo dire che tutto quel dimenare forsennato di anche contrapposto alla ieraticità inespressiva delle maschere lignee aveva un non so che di suggestivo.

Il pomeriggio continuando le nostre peregrinazioni per i dintorni abbiamo visitato i villaggetti costituenti la periferia est di Mueda. E qui il destino ha voluto che trovassimo addirittura anche oggetti in legno del famigerato artigianato Makonde. Ma sull’autenticità di tutto ciò personalmente nutro seri dubbi. Lo scultore che vedo intento a tornire un mortaio di legno col suo tornio azionato dal piede infatti il giorno prima sicuramente lì non c’era. Eravamo difatti passati di lì la sera prima e ricordo senza ombra di dubbio che stavano costruendo delle improbabili finestre di legno.

Ad avvalorare questa mia supposizione c’è anche il fatto che la sera all’imbrunire vediamo il tipo, il sedicente scultore Makonde, passare in motorino con gli scatoloni carichi delle sculture invendute per tornare chissà dove.

Secondo me quelle sculture venivano dal mercato del legno di Dar Es Salaam dove vengono fabbricate la maggior parte delle opere artigianali in legno vendute in questa parte dell’Africa.

Noi comunque, nel dubbio, le sculture Makonde o simil-Makonde le abbiamo comprate lo stesso!


(Adesso fanno sicuramente bella mostra nelle nostre case, per lo meno nella mia, e le possiamo spacciare per Makonde originali senza tema di smentita. Credo che la probabilità di annoverare tra i miei ospiti un esperto di arte Makonde sia abbastanza remota…)

sabato 10 ottobre 2009

MOZAMBICO 2009 - Parte 5


10/08/2009 Mueda (Prima parte)


Siamo arrivati a Mueda ieri dopo otto ore di pullman attraverso strade che man mano che ci allontanavamo da Pemba erano sempre più disastrate. Siamo distrutti. Sembra essere passata una vita da quando ci siamo alzati ma sono solo le 14:00.

Mueda non sembra un granché: una strada principale con a fianco delle costruzioni che non spiccano certo per la loro bellezza. Siamo gli unici bianchi ma gli abitanti di Mueda (i Muedani?) non sembrano farci troppo caso.

Siamo qui in realtà per vedere l’etnia Makonde o forse Mapico (non ho capito bene la differenza sebbene Greta c’abbia provato più volte a spiegarmela). Dovete sapere che questi Makonde sono soprattutto famosi per le loro sculture di legno e di ebano e per le loro folcloristiche danze tribali. E quindi dopo otto ore di viaggio, il minimo che ci saremmo aspettati era di vedere cerimonie Makonde di benvenuto alla fermata dell’autobus mentre artigiani provetti ci mostravano il frutto della loro abilità scultoria…

Ma la realtà era ben più desolante: una strada polverosa quattro case sgarrupate e dei Makonde neanche l’ombra. Siamo stanchi e scoraggiati dalla desolante vista di Mueda per cui decidiamo, più o meno all’unanimità, di cercare sti cazzo di Makonde, vedere qualche danza, comprare qualche scultura e andarcene l’indomani mattina all’alba direzione las Quirimbas: di nuovo al mare.

Poi però da bravi turisti ci mettiamo più di un ora a scegliere la pensione dove soggiornare e la rimanente parte del pomeriggio per capire che i villaggi Makonde di cui parla la guida, con eccessiva enfasi per la verità, non sono altro che gli assembramenti di capannucce che costituiscono la periferia di Mueda.

A questo punto comincia a serpeggiare in noi la certezza che se vogliamo vedere i Makonde (che poi è l’unico motivo per cui ci siamo spinti fin quassù, prossimi al confine con la Tanzania) dobbiamo trascorrere un’altra giornata in questo ameno villaggio. Ma per avere la certezza che sia solo un’altra la giornata da trascorrere a Mueda e non un’ora di più, commettiamo un errore che in Africa non si dovrebbe mai commettere! Ci mostriamo interessati ai Makonde e chiediamo in giro di poter assistere a danze e lavorazioni artigianali!

Ora se anche i Makonde non fossero mai esistiti sulla faccia della terra ma fossero fossero reali quanto gli elfi silvani o i puffi , gli abitanti di Mueda ce li avrebbero comunque portati dinnanzi con tanto di sculture e danze per qualche migliaio di metical (il metical è la moneta mozambicana e un euro vale circa 38 meticals ).

Io sono di natura molto fatalista, anche troppo. Per me se una cosa deve accadere, in qualche maniera accadrà; se no, no. Mi inquietano le persone eccessivamente determinate per cui tutto può accadere, basta volerlo. Ma se c’è un posto dove la determinazione conta meno che niente: questo è l’Africa. Per cui sento che non saremo noi a trovare i Makonde ma loro a trovare noi. E i fatti successivi mi daranno ragione.

Comunque ritornando alla cronaca dei fatti, ci accordiamo con un tipo che ci dice che si impegna a parlare con un fantomatico capo villaggio Makonde che, ci assicura, ci organizzerà l’indomani, ma solo dopo le 14:00 perché prima i Makonde lavorano, una danza caratteristica e un assortimento del migliore artigianato locale. Certo il tutto ci costerà un discreto gruzzoletto di meticals ma almeno daremo un senso alla scampagnata.

E’ con questa speranza che andiamo a cena in quello che poi scopriremo essere il ristorante di una pensione che è il puttanaio locale. Ma, come direbbe Lucarelli, questa è una altra storia. “Da mangiare c’è la galinha” (cioè il pollo) ci dice una signora in carne e dal modo di fare sbrigativo, abbiamo fame e ne ordiniamo per sei. Presa l’ordinazione, la donna che oltre che cameriera è anche cuoca e tenutaria del lupanare, esce dal locale. Poco dopo sentiamo provenire da fuori inquietanti e sinistri versi lamentevoli di galline. Eh si, penso che la signora stia tirando il collo alla nostra cena… (TO BE CONTINUED)


lunedì 5 ottobre 2009

MOZAMBICO 2009 - parte 4


09/08/2009 Da Pemba a Mueda


L’organizzazione è africana. (Siamo in Africa da poche decine di ore ma ci siamo dentro fino al collo, la razionalità sembra già una chimera lontana…)

Il posto dove soggiorniamo è appena fuori Pemba in una specie di enclave sudafricana, un po’ elegante e snob sulla spiaggia. Appena arrivati, il bagno rigenerante nell’Oceano Indiano dopo il bivacco aeroportuale del giorno prima ci rimette al mondo. Poi la cena a base di pesce freschissimo finisce di ritemprarci del tutto.

Ma poi, come dicevo, subentra inattesa l’organizzazione africana. L’autobus che dobbiamo prendere per andare a Mueda parte dalla stazione degli autobus alle 5:00 della mattina.Noi stiamo fuori Pemba, lontani dalla stazione degli autobus, per cui contrattiamo un passaggio con un fantomatico autista per l’indomani mattina. L’autista è “fantomatico” perché noi non l’abbiamo mai visto ne sentito, e per quello che mi riguarda potrebbe anche non esistere affatto o per lo meno essere reale quanto lo è Zorro. Infatti la contrattazione del passaggio non l’abbiamo portata avanti noi ma la suora che ci è venuta a prendere all’aeroporto (eh si poi alla fine è arrivata…).

Comunque l’accordo, raggiunto per interposta persona, prevede che il tipo passi a prenderci alle 3:00 del mattino (o forse dovrei dire della notte) perché siamo tanti e forse dovremo fare due viaggi. Per cui la sveglia è fissata per le 2:00!!! (Si, si avete letto bene: le due)

A fronte di questa organizzazione militare gli eventi non potevano che svolgersi , per contrappasso, in maniera “africana”. E così la sveglia che doveva suonare alle 2:00 non suona e ci svegliamo alle 3:00 e solo per merito di una maledetta zanzara che non mi ha dato pace per tutta la notte. Ma questo ritardo stranamente non sembra preoccupare nessuno. Sono le 3:30 quando siamo pronti per la partenza. Ma a questo punto dell’autista neanche l’ombra!

E non è che non c’è perché siamo arrivati in ritardo, ma perché non è proprio mai venuto, come ci conferma la guardia all’ingresso del lodge (in Africa per evitare furti ai danni dei turisti , all’ingresso di ogni attività ricettiva c’è sempre una guardia armata). Comunque aspettiamo in trepidante attesa ma invano e quando ormai stiamo disperando di partire, la guardia ci dice di conoscere uno che ha un camion che abita poco lontano e che forse ci potrebbe portare tutti alla stazione degli autobus.

Così ci avviamo a piedi carichi di tutti i nostri zaini che sembrano ad ogni passo sempre più pesanti. Ed è solo dopo una mezzora di marcia notturna che arriviamo alla casa di colui che dovrebbe trasportarci col suo camion. E dico dovrebbe perché dalla casa, avvolta dal buio e dal più profondo silenzio (d’altronde sono le quattro del mattino o meglio della notte) non giunge alcun segno di vita nonostante la nostra guida bussi alla porta con fare alquanto inurbano vista l’ora antelucana. Poi però all’improvviso esce dalla porta il nostro autista fresco e riposato come una rosa, a dispetto dell’ora, e si accorda rapidamente con noi per un prezzo tutto sommato ragionevole. E così dopo un tragitto di neanche dieci minuti a bordo del cassone del camion arriviamo alla stazione degli autobus. E siamo anche in anticipo rispetto alla nostra tabella di marcia!

E contro ogni previsione partiamo in perfetto orario neanche fossimo nella Bus Station di Londra.

Siamo a bordo del nostro autobus di linea, abbiamo i nostri posti a sedere e tutta la giornata ancora davanti anche se ci sembra di esserci svegliati una vita fa.


Il lodge dove abbiamo alloggiato a Pemba è un posto costruito da sudafricani per turisti sudafricani. Abbiamo trascorso la cena in mezzo ad una combriccola di tifosi del rugby sudafricani che carichi di birra hanno supportato con canti e grida la loro nazionale che affrontava gli All Blacks neozelandesi di fronte ad un maxi schermo televisivo. Noi abbiamo mangiato pesce ma c’era anche la pizza, che tra l’altro non sembrava neanche male. Stavamo nel cuore dell’Africa ma sembrava di stare in un pub inglese.



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Per il logo si ringrazia Lucaft qui ritratto in foto