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venerdì 26 settembre 2008

IN HOC SITO VINCES


La parafrasi della famosa frase attribuita a Costantino e da questi pronunciata prima della battaglia vittoriosa contro Massenzio spero sia di buon auspicio per questo sito o più precisamente per questo blog. Non mi posso lamentare dell’andamento del numero delle visite giornaliere e dell’apprezzamento dimostrato da alcuni di voi per voce o per e-mail: insomma, come si direbbe in termini televisivi, l’indice di gradimento è alto. In effetti dopo una lunga pausa ho ripreso a postare con una certa assiduità e la cosa ha portato a risultati lusinghieri in termine di numero di contatti. D’altronde per poter scrivere con frequenza quasi giornaliera bisogna avere cose da dire o da raccontare e la cosa mi succede in genere facilmente solo di ritorno da qualche viaggio: è che dovrei viaggiare più spesso. Cercherò di migliorare su questo aspetto. Anche gli introiti degli annunci pubblicitari pubblicati sono confortanti e anche al di sopra delle aspettative iniziali. Per tutto questo vi ringrazio. Ma ormai le vacanze si stanno allontanando nel tempo e siamo rientrati nella routine quotidiana e su questa sarà più difficile trovare spunti interessanti su cui scrivere. E questo ahimè porterà ad un calo di presenze nel sito. Cosa fare allora per mantenere vivo l’interesse nel blog e renderlo addirittura più appetibile? Vediamo. Il nome “Morcatana” è ,direi, azzeccato: è di fantasia ma evocativo, elegante ma accattivante. Se inserite la parola morcatana nella pagina di ricerca di Google, il link di questo blog sarà il primo nella lista dei risultati: quindi indubbiamente il nome funziona. Ma viviamo nella società dell’immagine dove l’apparenza soverchia i contenuti e mi accorgo che il blog non ha un logo! Ecco dove posso intervenire per migliorare questo sito: creare un logo che rimanga nelle menti e nei cuori. E siccome non sono un grafico e non mi va di pagarne uno, ho pensato di indire un concorso, aperto a tutti voi, per la creazione del logo ufficiale di Morcatana. Chi di voi vorrà partecipare potrà creare il logo in formato jpeg (può essre anche una foto) e inviarlo insieme ad un vostro nick name  alle seguente e-mail: luther-blisset@hotmail.it. Tutti i loghi che perverranno verranno pubblicati sul blog (vedi spazio in fondo alla pagina). Le vostre creazioni grafiche dovranno pervenire improrogabilmente entro il 15/10/2008. Il 16/10/2008 verrà aperta una votazione aperta a tutti i lettori del blog e il logo che alla data del 31/10/2008 avrà ricevuto più voti verrà assunto come logo ufficiale e diventerà parte integrante della veste grafica del sito. “Che si vince?” vi starete giustamente chiedendo. Potrei mettere in palio dei soldi ma questi sono fugaci e transitori e io voglio che il premio sia invece qualcosa che rimanga imperituro nel tempo. Quindi a parte la mia più profonda e incondizionata gratitudine, che a me parrebbe comunque più che sufficiente, il vincitore verrà citato nei credits del sito insieme ai suoi riferimenti e , se vorrà, a una sua foto che campeggerà nella pagina web per tutti i giorni a venire.

Beh mi sembra proprio tutto e quindi come direbbe qualcuno non troppo alto ma molto in voga in questo periodo: “buon lavoro”.

A presto.

martedì 23 settembre 2008

MITUMBA DI RITORNO


Pensavo di aver detto tutto sull’argomento (vedi Mitumba parte1 e parte2). Ma mi sbagliavo! L’Africa è sempre pronta a stupirti e quando pensi ormai di conoscerla ti spiazza con aspetti nuovi e inconsueti. Come è successo anche durante il viaggio di questo anno in Uganda. A Michele e Lara, miei compagni di viaggio di Milano, l’Egyptair ha smarrito i bagagli. Questi partiti da Malpensa si sono fermati al Cairo e non hanno proseguito per Entebbe come i loro proprietari. Sarebbero arrivati all’aeroporto di Entebbe soltanto parecchi giorni dopo di loro. E così Lara e Michele si sono visti costretti ad affrontare la prima parte del viaggio con i soli vestiti che indossavano al momento della partenza a parte qualche capo di vestiario che era contenuto nel loro bagaglio a mano. Ma da buoni viaggiatori non si sono persi d’animo e non ne hanno fatto un dramma. In particolare Michele appena arrivati nella cittadina di Fort Portal, dopo qualche giorno di campeggio nei parchi naturali, ha comprato in un piccolo negozio locale una maglietta usata. Una maglietta arancione, mi pare, leggermente scucita su una spalla con una macchia sul davanti ma pulita di bucato, che ha pagato un paio di dollari. E Michele (che è tale e quale a Guido Meda solo forse un po’ più giovane) quella maglietta la sfoggiava divertito ed orgoglioso. Ora la maglietta era sicuramente di provenienza europea una classica “mitumba” che qualche ragazzo europeo ha scartato perchè vecchia, la cui madre ha portato in qualche centro di raccolta di abiti usati per i meno abbienti e che dopo un lungo viaggio è finita nel circuito africano della vendita delle magliette usate. Mercato questo destinato normalmente a quegli africani non poverissimi che possono permettersi di pagare qualche migliaio di scellini per una T-shirt.e di cui Michele ha rappresentato una anomalia: un europeo che prima si disfa della maglietta ma che poi in caso di necessità se la ricompra, anche se chiaramente non la stessa ma una simile, a migliaia di chilometri di distanza. Ora non so se Michele quella maglietta l’abbia riportata in Italia oppure no, nel caso la maglietta avrebbe diritto a fregiarsi del titolo di frequent flyer. Ma anche nel caso che la maglietta sia stata abbandonata in qualche posto in Uganda e quindi con ogni probabilità riutilizzata da qualche africano, la storia si presta a qualche riflessione interessante. Innanzitutto le T-shirt sembrano dotate di sette vite come i gatti. Io ad esempio quando ho una maglietta ormai vecchia che versa in pessime condizioni non la butto ma la metto nello zaino dove la conservo pronta per essere utilizzata nel prossimo viaggio estivo. E così la maglietta che altrimenti sarebbe stata destinata alla spazzatura vive d’estate una nuova vita in qualche parte del terzo mondo. Qui una volta utilizzata viene da me abbandonata in un posto dove qualcuno possa facilmente trovarla e volendo riutilizzarla, dopo sicuramente averla però lavata. Mi fa piacere pensare che qualcuno possa  utilizzare qualcosa di mio e mi incuriosisce immaginare la storia che queste magliette possono avere dopo il mio abbandono. Chissà che fine avrà fatto la maglietta azzurra abbandonata su quel prato in Chiapas, o quella grigia lasciata su quella steccionata al lago Natron o quella polo blu lasciata sul ramo di un albero nel parco del Queen Elizabeth. Chissà chi le avrà utilizzate e se ancora le utilizza o se magari hanno cambiato proprietario e località. E poi questo concetto di T-shirt sharing potrebbe rivelarsi utile e interessante. Si potrebbe quasi partire senza bagaglio. Uno quando sporca i vestiti che porta li abbandona da qualche parte e ne compra per pochi soldi di nuovi, usati ma puliti. Anche se forse farebbe meglio a procacciarsi i nuovi vestiti prima di abbandonare quelli vecchi e sporchi.… Pensate zaini leggeri e mezzi vuoti che al ritorno possono essere riempiti con prodotti dell’artigianato locale da riportare in Italia piuttosto che con vestiti vecchi, sporchi e puzzolenti. Per noi europei ricchi sarebbe una comodità, per loro i poveri del mondo sarebbe un’opportunità.

venerdì 19 settembre 2008

PICCOLO SPAZIO PUBBLICITA'


Come forse qualcuno di voi, assidui lettori, avrà notato, nel blog è apparsa la pubblicità. In alto a sinistra e in fondo alla pagina web sono apparsi gli annunci di Google. Perché l’ho fatto vi chiedete? Boh! La cosa mi incuriosiva e ho provato ad implementare annunci pubblicitari per la semplice curiosità di capire come si faceva e cosa la cosa comportava, anche in termini economici. Paola, che è la compagna di mio fratello (la mia quasi cognata) mi aveva detto che sul suo blog http://diariodicucina.myblog.it/ (se volete potete andare a vederlo ma sappiate che non c’è neanche la ricetta dei waffle!) aveva già inserito le inserzioni pubblicitarie e mi aveva anche mandato via e-mail i link di alcuni siti che offrivano questo servizio. Questo accadeva alcuni mesi fa. L’altro giorno mi torna in mente la cosa, vado a ricercare la preziosa mail e chiaramente non la trovo ma non demordo faccio una ricerca su internet e trovo che Google AdSense può fare al caso mio. Mi collego faccio la registrazione aspetto la mail di conferma e in meno di 3 ore sono operativo. Ho un account su Google AdSense dal quale posso scaricare i codici html degli annunci da implementare sul blog e soprattutto una pagina con i report aggiornati in tempo reale dell’andamento delle visite e dei clic degli annunci pubblicati sul blog. Cioè, in soldoni (ma in questo caso sarebbe più opportuno dire: in soldini), ad ogni clic fatto da ognuno di voi sugli annunci, l’inerzionista mi riconosce un piccolo pagamento. Capito? Che state a fare lì ancora a leggere il post? Andate subito a cliccare sugli annunci!

Fatto? Bene allora adesso potete proseguire nella lettura… A parte che, come mi ha confermato anche il Dr House, il ciccare sugli annunci rappresenta un utile esercizio fisioterapico che aiuta a guarire ma anche a prevenire la sindrome del tunnel carpale (STC), cosi facendo contribuirete, anche se in minimissima parte, a mantenermi: una specie di adozione a distanza ma omeopatica. Tra l’altro gli annunci scelti in automatico da Google AdSense sono associati al contenuto specifico del blog, ecco perché in questo momento sono inerenti a fantomatici viaggi in Africa o a strani servizi di magia bianca, e quindi, in ultima analisi, potrebbero anche facilmente rivelarsi utili ai vostri scopi Tutta la vicenda comunque mi ha portato a capire alcune cose. Innanzitutto ho capito come facciano colossi come Google ad esistere e sopravvivere. I servizi di ricerca forniti a tutti noi in maniera gratuita sono pagati e anche profumatamente dagli inserzionisti pubblicitari non solo della pagina di ricerca di google search ma anche delle pagine dei risultati, come in una moderna e lucrosa catena di S. Antonio. L’altra cosa che ho capito è che per poter vivere di pubblicità in internet bisogna possedere un sito con moltissime visite giornaliere. Io in quattro giorni di annunci ho racimolato la bellezza di US$ 3,55. Considerando che c’era stata una domenica di mezzo il mio blog ha la potenzialità di farmi guadagnare circa un dollaro al giorno quindi diciamo circa $ 350 all’anno. Un po’ pochino per camparci. Ho paura che dovrò continuare a lavorare…

Però, ora che ci penso $ 350 sono pochi in Italia, ma all’estero? In qualche paese del terzo mondo? Magari in Africa? Allora mi documento e scarico dal sito dell’International Monetary Fund IMF (http://www.imf.org/) il file excel riportante insieme ad altri dati, i redditi nazionali pro capite di tutti i paesi africani. Cancello i dati che non mi interessano e ordino quelli rimanenti in ordine crescente di reddito procapite annuo del 2006 e osservo la tabella. Si va dai $ 120 del Burundi ai $ 9366 delle Seychelles. Chiaramente queste ultime non me le posso permettere, cosi come non mi posso permettere gli stati del nord Africa tutti sopra i mille dollari, per non parlare poi del Sud Africa: $ 5418 o del Botswana: $ 7021. Però avrei di che vivere in Uganda o Rwanda entrambe intorno a $ 315 o anche con qualche sforzo in più sulle spiagge di Madagascar o Mozambico sui $ 335. La Tanzania invece è appena fuori del mio budget: $ 371 sono un po’ più di quello che mi posso permettere senza considerare che i dati dell’IMF sono in rialzo per questi stati africani. Peccato! Mi sarei visto bene sulle bianche spiagge di Zanzibar tra un bagno, un cocco e una birra con l’unica incombenza di scrivere sul portatile, magari al tramonto all’ombra di un banano e sorseggiando Amarula, qualche bel post sulla vita locale ... Popobawa permettendo certo… Ma un attimo ora che ci penso questo dipende solo da voi! Quindi finito di leggere questo post cominciate a ciccare sugli annunci e non fermatevi se non per crampi. E spargete la voce.

Asante sana.

martedì 16 settembre 2008

Consigli per gli acquisti: Amarula


Mi viene solo ora in mente una cosa. Ho intitolato il mio precedente post, quello diviso in tre puntate: “Amarula e vecchi amuleti”. Voleva essere chiaramente un omaggio ad Agatha Christie per l’atmosfera un po’ noir del racconto anche se effettivamente i richiami alla magia nera lo avvicinano sicuramente di più a Poe che non alla regina del “crime and detection”, chiaramente con tutto il dovuto rispetto per Poe e per la Christie. Ora chi è stato in Africa e molti di voi, essendo stati miei compagni di viaggio, ci sono stati, sa certamente cosa è l’Amarula. Per chi non c’è stato e quindi forse non sa cosa è l’Amarula cerco di provvedere con questa breve nota scusandomi anche se con ritardo per aver dato per scontato cose che scontate non sono. L’Amarula è un liquore originario del Sudafrica ma diffuso un po’ ovunque nell’Africa nera. E’ un liquore cremoso, per capirci ricorda molto da vicino il Baileys anche se con un gusto più caramellato, e contiene estratti della noce di marula da cui il nome. La noce di marula, di cui più sotto potete vedere una foto, cresce su un albero tipico dell’Africa e pare che gli elefanti ne siano particolarmente golosi. Non a caso sull’etichetta dell’Amarula campeggia in primo piano l’effige di un elefante. Visto il costo non proprio irrisorio della singola bottiglia, l’uso tra i locali è molto limitato mentre la diffusione di questo liquore tra i turisti è considerevole: non c’è falò notturno che si rispetti nella savana che non sia accompagnato da una bottiglia di Amarula che gira tra i partecipanti. All’equatore fa buio presto e le notti sono lunghe a passare. Visto che nei bivacchi tendati nei parchi una volta cenato non c’è molto da fare: passeggiare infatti di notte nella savana è un’attività che sconsiglio ai più, considerata la probabilità non proprio remota di incontrare un ippopotamo o un grosso felino, rimanere a chiacchierare di fronte al fuoco è l’attività che va per la maggiore. E un po’ d’alcol aiuta il chiacchierare, rende le persone più propense a raccontarsi senza remore, ad esternare cose che altrimenti difficilmente affiorerebbero alla superficie ma anche a ridere e scherzare. E proprio durante una di queste sere, ovviamente con in corpo l’adeguato tasso alcolico derivato dall’assunzione di una robusta dose di Amarula, ho sviluppato una teoria su elefanti e noci di marula che vado qui appresso a descrivere. Gli elefanti sono animali da trattare con le dovute cautele. Oddio in Africa tutti gli animali vanno trattati con il dovuto rispetto ma gli elefanti in maniera particolare. Sono infatti di umore  facilmente mutevole e un nonnulla può urtarli nella loro suscettibilità ed indurli a scatti d’ira apparentemente ingiustificati. Non sono infrequenti casi in cui uno o più elefanti hanno caricato una jeep di turisti solo perché infastiditi dal rumore del motore o dal volume troppo alto di qualcuno degli occupanti. Se non ci credete basta che facciate una ricerca su youtube, inserendo come parole chiave: elefante e attacco, per rendervi personalmente conto con i vostri occhi di quello che dico. Ora quest’aggressività appare del tutto ingiustificata. L’elefante più ancora del leone è il vero re della savana: non possiede predatori in natura e la jeep di turisti non rappresenta certo per lui un pericolo degno di rilievo. E allora da dove gli deriva questo carattere lunatico e irascibile? Ma è chiaro! Dal fatto che per produrre tutta quell’Amarula necessaria ad accontentare la sete alcolica di turisti sempre più numerosi si è decimata la disponibilità di noci di marula in natura. Per gli elefanti è diventato sempre più difficile accaparrarsi la loro leccornia. E’ un po’ come se degli alieni atterrassero via via sempre più numerosi in Italia e facessero incetta di pomodori per prepararsi dei Bloody Mary e noi di conseguenza vedessimo diventare il pomodoro un ortaggio sempre più raro e introvabile tanto da rendere difficile la preparazione della pizza margherita. Saremmo un po’ incazzati? Si? Beh gli elefanti pure. Si lo so! E’ una teoria che fa acqua da tutte le parti: ma ve l’ho detto avevo bevuto… Comunque in quel momento di fronte al fuoco, sufficientemente alticcio mi sembrava una teoria abbastanza coerente. Preso dall’euforia del momento volevo rendere partecipe Elena delle mie elucubrazioni. Elena era l’etologa del gruppo, etologa vera: ha passato un anno intero in Tanzania a studiare il comportamento dei leoni. Ma poi ho pensato che lei era esperta di leoni e non di elefanti e forse non avrebbe capito e così la teoria l’ho tenuta per me. Probabilmente solo Paolino avrebbe potuto capirmi. Lui è vero che non è etologo: fa l’informatore farmaceutico, ma aveva studiato su un libro di etologia di Elena tutto sugli ippopotami apprezzandoli così tanto da aver manifestato il desiderio di reincarnarsi in una futura vita in uno di loro. Cinquanta anni a mollo a sguazzare nel fango senza predatori e divorando 40 kg di erba al giorno: che vita! Solo una persona che aveva dimostrato tanta sensibilità verso gli animali da immedesimarsi in loro avrebbe potuto capire cosa potevano pensare gli elefanti. Ma quella sera accanto al fuoco non c’era, chissà dove cavolo s’era cacciato. E così queste cose ora le sapete solo voi che leggete.

Lo so dovevo solo spiegare cos’era l’Amarula e mi sono fatto prendere la mano dilungandomi più del necessario ma se vi capiterà di andare in Africa, bere l’Amarula e poi magari di essere caricati da un elefante qualche idea su perché i pachidermi ce l’hanno proprio con voi ce l’avrete.

http://it.youtube.com/watch?v=GToEDTkZSic


venerdì 12 settembre 2008

Amarula e vecchi amuleti. (terza ed ultima parte)


Qualcosa dovevo pur fare: gli eventi negativi ormai si susseguivano sempre più incalzanti e inquietanti. Ma cosa? Cosa? Si era intanto fatta ora di ripartire verso le Sipi Falls. Questa volta però il risalire in pullman per affrontare le ennesime quattro o cinque ore di viaggio non mi dispiace. Lo stare seduti sul pullman magari un po’ sballottati perché in Africa le strade sono quelle che sono, a fissare il paesaggio che fuori man mano si dipana colorato e suggestivo sempre simile ma sempre diverso è una esperienza ipnotica che ti rapisce e che ti fa pensare e riflettere. Pensare a cose futili legate a quello che si vede attraverso il finestrino: chissà dove vanno tutte queste persone che spingono delle biciclette, procedendo in verso contrario a quello di marcia del pullman, stracariche all’inverosimile di taniche e caschi di banane, se è da venti minuti che non vedo case o capanne? Oppure perché le donne si affannano a lavare i panni al ruscello se poi i panni li stendono semplicemente sul prato alla mercé dei bambini che giocano col fango ai polpacci e degli animali che si vanno ad abbeverare e non ultimo della polvere sollevata dalle auto e camion che passano veloci sulla strada? Ma anche a cose più profonde come a quanto ci aspetta in Italia che in questo momento è così lontana e non solo geograficamente. Insomma la propensione a pensare facilitata dal viaggiare è quello di cui ho bisogno in questo momento. E pensando, pensando mi è rivenuto in mente  quanto Greta qualche sera prima mi ha raccontato sui gris-gris: i talismani per scacciare gli spiriti negativi che gli stregoni di quella parte dell’Africa che ha visto nascere il voodoo, preparano su richiesta dietro adeguata ricompensa. Ora questi gris-gris, che alla fine sono dei pacchettini foderati in pelle contenenti ingredienti magici, possono essere positivi o negativi, come la magia che può essere bianca o nera, ma in quelli buoni non mancano mai le cipree le conchigliette bianche con cui si fanno braccialetti e collanine e che rappresentano un potente talismano. Ora qui siamo in Uganda e non posso certo sperare di incontrare un féticheur che mi confezioni un gris-gris su misura, come se fossi in Ghana o Costa d’Avorio ma magari a Kampala, tra qualche giorno, qualche sorta di idolo benevolo lo posso trovare. Sollevato dall’aver almeno impostato una qualche forma di strategia difensiva verso la mala sorte scatenata dalla vecchia macumbera mi appresto a trascorrere col cuore più leggero gli ultimi giorni di vacanza anche se ancora non mi sento del tutto tranquillo. E gli ultimi giorni passano sereni e tranquilli. Visitiamo le Sipi Falls alle pendici del monte Elgon e la vista che si domina da questo massiccio isolato toglie il fiato. L’Uganda si staglia verde con i suoi laghi ai nostri piedi. Possiamo riconoscere il Kioga e più vicino l’immenso Vittoria. E più lontano il lago Alberto e dall’altra parte il Kenia con le sue savane. Anche il giorno dopo alle sorgenti del Nilo scorre tranquillo come se la malasorte avesse deciso di lasciarmi tranquillo per distogliermi dal mio proposito di trovare un opportuno e potente talismano o feticcio per sconfiggerla definitivamente. Ed effettivamente in questi giorni non ci penso ma quando giungiamo infine a Kampala scatta in me l’operazione: ricerca del feticcio. E il momento propizio si presenta quando ci fermiamo per un paio d’ore al mercato dell’artigianato locale. Tutti i miei compagni si disperdono tra i mille negozietti alla ricerca di qualche souvenir da riportare in Italia. Io ho un scopo preciso: trovare il feticcio portafortuna e non posso lasciarmi distrarre da tutto il resto. Ma da solo so che non ce la posso fare. Qui solo Greta mi può aiutare. Lei di certe cose se ne intende! La metto al corrente delle mie intenzioni e partiamo insieme per la ricerca. Giriamo per il mercato spostandoci di negozio in negozio come fanno le api di fiore in fiore. Io con i sensi all’erta teso come una corda di violino e sempre più nervoso man mano che il tempo passa e il feticcio non si trova. Lei più calma e rilassata anche perché probabilmente non si rende conto della soverchiante importanza della missione di cui l’ho messa a parte. Alla fine troviamo il negozio che sembra fare al caso nostro. E’ pieno di maschere e di statuine di legno. E nel mucchio, ormai preso da un’irrefrenabile impazienza, lo vedo! E’ lui l’idolo nero portafortuna! Ma “no” mi dice Greta “non vedi che non ha le conchiglie!”. Cazzo! E’ vero le conchiglie! Me ne ero dimenticato! Continuo con la ricerca e finalmente dal mucchio spunta lui: l’idolo nero conghigliatissimo. Ha una conchiglia al collo e una alla vita. Credo possa andare bene e anche Greta questa volta mi fa un gesto d’assenso. Tratto un po’ sul prezzo e per una quindicina di dollari me lo aggiudico e sono salvo. Ora fa bella mostra di se sullo scaffale della libreria (vedi foto). In questo momento, mentre scrivo queste stupidaggini al computer portatile, mi guarda inquietante. Non so se porta veramente fortuna… A me piace pensare di si. Comunque da quando ce l’ho non mi è capitato più niente di troppo negativo: l’aereo non è precipitato, non ho preso la malaria….

Però non si sa mai la prossima volta che vado al mare magari raccolgo qualche conchiglia e gliela aggiungo. Anche se non sarà una ciprea africana, certo male non gli farà.

lunedì 8 settembre 2008

AMARULA E VECCHI AMULETI. (Part II)


Dicevamo… la vecchia sparisce e guarda caso subito dopo il pullman è finalmente riparato e pronto per partire. Saliamo su ma non facciamo neanche in tempo ad uscire da Kisoro che subito dobbiamo farvi ritorno perché la riparazione del serbatoio non ha tenuto e continuiamo a perdere benzina. Io ci vedo chiaramente un chiaro nesso causa – effetto con la vecchia ma anche in questo caso queste considerazioni le tengo per me. Questa volta per la riparazione ci fermiamo presso un fabbro per far saldare il serbatoio. Dovete sapere che in Uganda falegnami e fabbri sono in ogni dove e Kisoro ha una ricca dotazione degli uni e degli altri con i loro prodotti artigianali: letti, porte, finestre e bare in bell’evidenza lungo la strada. Si riscende tutti dal pullman: ormai si era fatta l’ora di pranzo e il sole alto equatoriale sconsigliava chiunque dal rimanere in quella scatola di lamiera arroventata sotto il sole. Senza considerare che non è proprio la cosa più salutare del mondo rimanere all’interno di un pullman di cui qualcuno sta saldando il serbatoio pieno di benzina per di più con la vecchia ancora presumibilmente nei paraggi, aggiungo io. Questa volta la riparazione è più rapida del previsto e nel giro di neanche un’oretta si riparte direzione Mburo. Il viaggio prosegue senza ulteriori intoppi  e giunti a Mburo, una volta piantate le tende, anche questa volta in vicinanza del lago con tutto ciò che questo in Uganda comporta: andirivieni di ippopotami per tutta la notte, partiamo per un giro a piedi nel parco. Si perché Mburo è un parco naturale senza leoni che un tempo però c’erano ma che la caccia dissennata fatta loro ai tempi della dittatura di Amin ha estinto. Data la loro assenza è quindi possibile avventurarsi a piedi anche se guidati da un guardaparco con il suo immancabile kalashnikov d’ordinanza perché e pur vero che non ci sono i leoni ma è sempre vero che incontrare un leopardo o le iene o più facilmente un bufalo imbufalito completamente inermi è un’esperienza che normalmente non viene annoverata tra quelle più positive. In questa zona le lussureggianti e verdissime foreste di montagna che hanno accompagnato gran parte del nostro viaggio hanno lasciato spazio ad una terra piatta e arida che mi ricorda le savane della vicina Tanzania. E’ una bella esperienza quella del safari a piedi perché si ha modo di vedere gli animali, in questo caso zebre, bufali, kobi e impala più da vicino non essendo questi ultimi intimoriti dal rumore del motore e soprattutto da una prospettiva diversa più paritetica senza frapposizioni. Giriamo per la savana da più di un’ora quando si addensano neri all’orizzonte nuvoloni compatti portati da un vento fresco e teso che aumenta rapidamente di intensità e che non lascia presagire nulla di buono. Comincia a piovere. All’inizio in maniera lieve e l’esperienza è piacevole. L’odore della terra bagnata, le gocce di pioggia sulla pelle nuda che lavano via quello strato di polvere che ore di viaggio su strade sterrate vi hanno depositato, sono esperienze che ci fanno sentire ancora più in contatto diretto con la natura che qui nel cuore dell’Africa ci circonda prepotente. Ma la pioggia aumenta di intensità ora i vestiti sono fradici e finita l’estasi iniziale ci rendiamo conto che siamo sotto la pioggia nel bel mezzo della savana ad almeno un’ora di marcia dal nostro pullman. Quello di agosto in Uganda è la stagione delle piogge brevi e non era certo la prima volta che incontravamo la pioggia nel corso di questo viaggio ma lì, ci ha spiegato il guardaparco sotto la pioggia battente, era dall’inizio di maggio che non pioveva! Non pioveva da quasi quattro mesi! E noi capitiamo lì sotto quella pioggia rara a piedi e senza nessuna possibilità di ripararci. Io mi convinco sempre di più che quella di stamattina era una macumba e no il l’alligalli locale ballato da una simpatica vecchina del posto.

Raggiungiamo il pullman completamente zuppi e zuppi rientriamo al campo. La giornata non ci riserva altre sorprese particolari e il giorno dopo si riparte per il lago Vittoria e le sorgenti del Nilo. E qui a Jinjia avviene un’altra esperienza strana e inquietante. Arriviamo a Jinjia, il posto dove dal lago Vittoria il Nilo comincia i suo percorso che lo porterà a riversare le sue acque sessanta giorni dopo nel Mediterraneo, e qui il gruppo si divide. Una parte, tra cui io, ripartirà subito per le Sipi Falls e l’altra parte rimarrà a Jinjia a riposarsi o a fare rafting sulle rapide del Nilo. L’indomani ci si riunirà di nuovo a Jinjia per poi fare ritorno insieme a Kampala ed infine ritornare in Italia. Le Sipi Falls sono delle cascate d’acqua in un massiccio isolato tra Uganda, Kenia e Tanzania. Ho dovuto insistere per andare, siamo alla fine del viaggio e la stanchezza comincia a farsi sentire, ma  gran parte del gruppo ha condiviso l’idea di visitare un’ultima meraviglia naturale prima di ripartire per casa. Il pullman ha portato quelli che rimarranno a Jinjia a trovare una sistemazione per la notte e noi che proseguiremo per le Sipi Falls attendiamo il ritorno del pullman lungo una strada piena di bancarelle che offrono souvenir e cibo ai turisti. Siamo all’ora di pranzo e decidiamo di comprarci alcuni chapati che è una specie di piadina un po’ fritta. Io compro tre chapati e il tipo che li fa li arrotola e me li avvolge in carta di giornale. Sono appena fatti e scottano da morire. Lì appoggio su un muretto e aspetto che si freddino un po’. Quando si sono un po’ freddati apro il cartoccio di giornale e comincio a strappare pezzi di chapati che porto alla bocca con le mani. Man mano che mangio scopro parti di giornale che comincio a leggere distrattamente. Si tratta di annunci: non so dove cercano una infermiera.. mangio un altro po’ di chapati e leggo che cercano meccanici… altri pezzi di chapati e si scopre la foto di uno di cui i parenti danno la triste notizia del passaggio a miglior vita… Eh si è proprio la pagina degli annunci necrologici! Che culo! Ma non mi perdo d’animo e continuo a mangiare, la fame è fame, e scopro la foto di una donna di mezza età con gli occhi chiusi e gonfi e i lineamenti del viso tumefatti. Anche lei è morta! Evidentemente i parenti non avevano una sua foto da viva e hanno pensato bene di fargli una foto da morta. Un po’ come nel libro dei morti del film “The Others” quello con Nicole Kidman. Adesso è troppo però! Ora non ho più dubbi! Era macumba, ho sbagliato a non pagare la vecchia e a dare retta a Greta. A questo punto devo fare qualcosa per porre fine alla catena di eventi negativi! Si ma cosa?

Se lo volete sapere dovete attendere la prossima puntata.

 

TO BE CONTINUED

giovedì 4 settembre 2008

Amarula e vecchi amuleti.


Agosto 2008, Kisoro Uganda ai confini con il Congo. Ieri abbiamo visto i gorilla in Congo: l’esperienza clou di tutto il viaggio in Uganda. Oggi nel gruppo, con cui condivido questo viaggio africano, c’è una strana atmosfera. Da una parte la gioia per aver goduto di una esperienza davvero unica e per la maggior parte di noi probabilmente irripetibile, dall’altra una sorta di velata tristezza: ormai il viaggio entra nella sua parte finale e si avvicina purtroppo per noi il momento di rientrare in Italia. In realtà ci aspettano ancora il lago Mburo, le mitiche sorgenti del Nilo e le Sipi Falls ma la visita ai gorilla ha rappresentato la chiave di volta di tutto il viaggio.

Anche oggi si parte presto perché ci aspetta il trasferimento a Mburo. Carichiamo il pulmino con i nostri bagagli, prendiamo posto all’interno, facciamo il pieno di carburante ma quando siamo finalmente pronti a partire ci si accorge di avere un pneumatico forato. Fortunatamente questo ci è accaduto a Kisoro che è una cittadina  dotata di un gommista e non chissà dove in qualche strada sperduta nella savana magari tra i leoni. Ma questa è l’ultima fortuna che il destino ci riserva. Ma andiamo per ordine!

Quando parlavo di gommista non mi riferivo certo a quello che ad un europeo la parola evoca, che diamine qui siamo nell’Africa nera! Qua un gommista è un povero Cristo che in precarie condizioni di sicurezza e con attrezzi del tutto inadeguati (un crick malfermo, un pezzo di ponteggio, una punta di trapano molata a formare uno scalpello e una spranga di ferro), assestando mazzate solo apparentemente casuali tenta riuscendoci di smontare il copertone dal cerchione, aprire il cerchione, tirare via la camera d’aria, ripararla e rimontare poi il tutto in qualche maniera. Vista la pochezza delle attrezzature e considerando che in Africa il tempo è una risorsa abbondante e nessuno sembra avere mai fretta ci rendiamo subito conto che la riparazione andrà  per le lunghe. La cosa però non ci dispiace affatto. Dopo quasi due settimane di spostamenti serrati  avere un po’ di tempo libero per fare quello che si vuole ci appare come un lusso inaspettato. E così ne approfittiamo. C’è chi ne approfitta per comprare qualche ameno souvenir, chi per fare foto alla popolazione colorata locale e chi per procacciarsi qualcosa da bere o da mangiare. Io chiaramente appartengo a quest’ultimo gruppo. E così dopo essermi rifocillato con coca cola e chapati mi ritrovo chiacchierare con Greta reduce dall’acquisto di un enorme tamburo. Stiamo lì che chiacchieriamo del più e del meno quando all’improvviso, apparentemente dal nulla, si materializza una vecchia scalza e con i vestiti laceri che si mette a ballare accompagnandosi con una nenia tristissima. Io non ho dubbi  è una macumba, magia nera! Ma Greta che è stata in Costa d’Avorio, Ghana, Benin, Togo laddove è nato il voodoo, e di queste cose se ne intende mi dice di no che non è magia nera e che non devo suggestionarmi. Sarà se lo dice lei… Comunque indirizzo la vecchia verso altri compagni di viaggio e ricomincio a chiacchierare. Ma la vecchia non demorde e si riavvicina. Sto per tirare fuori una moneta da 500 scellini per porre fine alla macumba (perché per me si tratta chiaramente di macumba) quando Greta mi ferma. Mi dice che non è bene dargli dei soldi e che non c’è niente di cui preoccuparci! Adesso non è che io sia superstizioso ma 500 scellini potevamo anche darglieli, in fondo sono solo 20 centesimi di euro. E poi  mi ricordo di aver letto da qualche parte che la differenza tra magia “bianca” e magia “nera” è solo questione di prospettiva la prospettiva di chi opera la magia e secondo me la vecchia se gli avessimo dato qualcosa ci avrebbe visto da una prospettiva migliore. Ma questo a Greta non lo dico, che diamine sono un uomo, razionale e devo mantenere un certo contegno… mentre penso queste cose il pulmino cade dal crick e nel cadere si sfonda il serbatoio che inizia a perdere benzina. L’avevo detto! Lo sapevo! Greta non mi dire che non l’avevo detto che era macumba e che gli potevamo dare il soldino alla vecchia. Ma Greta non si scompone e intanto la vecchia così come era apparsa all’improvviso, così all’improvviso scompare…

Beh adesso si è fatto tardi e vado a dormire ma se volete sapere come è andato il resto del viaggio non vi resta che aspettare domani e il resto del racconto.

 

TO BE CONTINUED…


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Per il logo si ringrazia Lucaft qui ritratto in foto